INV. N. 1317
La Galleria dell'Arte nel Mondo, Roma, Italia (Europa) - The Art Gallery in the World - Rome, Italy (Europe)
lunedì 29 febbraio 2016
domenica 28 febbraio 2016
François Marius GRANET (Aix-en-Provence, 1775 - 1849): L'Alchimista, primi 1800, olio su tela, 48,3 x 61 cm - Gallery: Chemical Heritage Foundation, Philadelphia, Pennsylvania
INV. N. 1313
L'Alchimista
L'Alchimista
L'Alchimista si trova in una stanza con volta a botte in gran parte vuota, illuminata da una finestra al centro della parete di fondo. Si trova solo intento alla lettura di un piccolo libro. Egli è nanizzato dalle dimensioni della camera, quasi perso contro lo sfondo. Il suo vestito suggerisce che sia di epoca antecedente, anche se indeterminata. La luce dalla finestra proietta l'ombra dell'alchimista e delle attrezzature varie nella sala. L'alto soffitto a volta della stanza è scheggiato, incrinato e sbiadito. Ragnatele e polvere sono visibili. La sala contiene solo pochi pezzi isolati di attrezzature: un globo, vetri, stoffa rossa. La storta sotto la finestra è un riflesso della fantasia del pittore, piuttosto che una rappresentazione accurata di un apparecchio scientifico.
sabato 27 febbraio 2016
François Marius GRANET (Aix-en-Provence, 1775 - 1849): Il pittore Jacques Stella in prigione, 1810, olio su tela, 194 x 144 cm - Gallery: Museo Pushkin di Belle Arti., Mosca
INV. N. 1312
Anna Ottani Cavina
TERRE SENZ'OMBRA
François-Marius Granet, l'artista che visse due volte - Dipingere il silenzio
Anna Ottani Cavina
TERRE SENZ'OMBRA
François-Marius Granet, l'artista che visse due volte - Dipingere il silenzio
"Su quel tessuto della storia, Granet impone la sua visione d'artista: costruzioni prospettiche teatrali e arcaiche, grande attenzione al dettaglio archeologico, un'austerità nel comporre - contrappunto neomedievale alle neodorica elementarietà di David - e un vero talento nel dosare le schegge di luce nel buio. Salvando una purezza, un'intimità, un'esigenza di introspezione che, nella lettura penetrante di Robert Rosenblum, lo avvicinano alla spiritualità luterana di Friedrich, maestro supremo del silenzio."
venerdì 26 febbraio 2016
PIERO DI COSIMO (Firenze, 1462 - 1521): Andromeda liberata da Perseo, 1510-1515 ca. olio su pannello, 70 x 123 cm - Gallery. Galleria degli Uffizi, Firenze
INV. N. 1310
Piero di Cosimo - Cenni biografici e opere - Enciclopedia Treccani on-line
Liberazione di Andromeda
(Fonte: Galleria degli Uffizi - Gloria Fossi - Ed Giunti, 2010 - pag. 202)
Piero di Cosimo - Cenni biografici e opere - Enciclopedia Treccani on-line
Liberazione di Andromeda
In quest'opera singolarissima l'eccentrico pittore narra con notevole senso scenografico il mito di Perseo che libera Andromeda uccidendo il mostro marino. La composizione è dominata dal drago agonizzante, ma l'occhio si perde nel paesaggio d'invenzione, reso con una sensibilità per il dettaglio che sembra fiamminga. Piero si è sbizzarrito nell'esotismo dei personaggi con turbante alle due estremità del dipinto, nell'acqua che sciaborda a riva, studiata goccia per goccia, nelle casette di legno e paglia poggiate su improbabili cocuzzoli. Sono certo di fantasia gli strumenti musicali senza cassa armonica o senza corde, che non potrebbero mai suonare.
Il disegno dell'opera sembra sia di Leonardo.
François Marius GRANET (Aix-en-Provence, 1775 - 1849): Il coro della chiesa dei Cappuccini di Santa Maria della Concezione a Via Veneto a Roma, 1808 ca., Olio su tela, 93 x 73,5 cm - Gallery: Musée des Beaux-Arts. Lione, Francia
INV. N. 1309
Dipingere il silenzio
di
Anna Ottani Cavina
(Docente di Storia dell'Arte all'Università di Bologna, ideatrice e direttrice della Fondazione Federico Zeri, insegna alla Johns Hopkins University SAIS Europe)
Per collocare Granet nella prospettiva corretta di pittore di storia, e coglierne la seduzione narrativa conviene partire dalla fine.
Negli anni in Géricault e la sua Zattera della Medusa infiammavano i cuori al Salon, il giovane duca Filippo d'Orléans, futuro sovrano di Francia, dichiarava il suo amore per la pittura di Granet: "Amo immensamente quelle chiese, quelle cappelle, i monaci, i chiostri, i riti religiosi...". Le immagini claustrali di Granet introducevano infatti, dopo il trauma della Rivoluzione, un'armonia, una spiritualità, una bellezza vicina al misticismo neomedievale di Chateaubriand e davano forma a quel desiderio di innocenza che seguiva il tempo degli eccessi giacobini.
Dipingendo, in apertura di secolo, l'emozione delle cattedrali silenti e la riscoperta dello spirito monastico, Granet era stato all'origine di una vera rivoluzione della sensibilità.
Piu tardi il suo repertorio di chiostri, catacombe, monasteri, cripte umide e oscure, e la sua esaltazione di una fede innocente alimenteranno quel revival cattolico che, negli anni fra la Restaurazione dei Borbone e la monarchia degli Orléans, proiettava sulle sofferenze dei primi cristiani i patimenti subiti negli anni del Terrore.
( da Terre senz'ombra - Anna Ottani Cavina - Ed. Adelphi, 2015 - pagg.327-329)
lunedì 22 febbraio 2016
JULES BRETON (Courrieres, 1827 - Parigi, 1906): Le spigolatrici, 1854, olio su tela, 93 x 138 cm - Gallery: National Gallery of Ireland, Dublino, Irlanda
INV. N. 1308
BRETON, Jules. - Pittore francese, nato a Courrière (Pas-de-Calais) il 1° maggio 1827, morto a Parigi il 5 luglio 1906. Allievo di Felix de Vigne a Gand e del Drolling a Parigi, rappresenta col Lhermitte e col Bastien-Lepage la tradizione del naturalismo rustico, avvivato nell'opera del Breton di intima poesia. Tra le numerose opere, le più celebri sono: La benedizione del grano (1857); Il ritorno dei mietitori (1853); le Spigolatrici. Fu poeta, critico, romanziere.
(Fonte: Enciclopedia Italiana Treccani, 1930)
domenica 21 febbraio 2016
JULES BRETON (Courrieres, 1827 - Parigi, 1906): La fine della giornata di lavoro, 1886-87, olio su tela, 84 × 120 cm - Gallery: Brooklyn Museum of Art, New York
INV. N. 1307
BRETON, Jules. - Pittore francese, nato a Courrière (Pas-de-Calais) il 1° maggio 1827, morto a Parigi il 5 luglio 1906. Allievo di Felix de Vigne a Gand e del Drolling a Parigi, rappresenta col Lhermitte e col Bastien-Lepage la tradizione del naturalismo rustico, avvivato nell'opera del Breton di intima poesia. Tra le numerose opere, le più celebri sono: La benedizione del grano (1857); Il ritorno dei mietitori (1853); le Spigolatrici. Fu poeta, critico, romanziere.
(Fonte: Enciclopedia Italiana Treccani, 1930)
sabato 20 febbraio 2016
venerdì 19 febbraio 2016
SCULTURE ANTICHE: Corridori, copie di epoca romana da originali greci, IV - III sec. a. C., sculture in bronzo - Gallery: Museo Archeologico Nazionale, Napoli
INV. N. 1305
Statue di corridori
Statue di corridori
Coppia di figure maschili nude, con la gamba sinistra flessa ed avanzata, la destra arretrata, il busto piegato in avanti, con il braccio destro flesso ed il sinistro disteso verso il ginocchio. Collocate insieme nel peristilium grande della Villa dei Papiri di Ercolano, sono verosimilmente le copie di due sculture greche della fine del IV - inizio del III sec. a.C., celebranti atleti vincitori in uno dei grandi giochi panellenici. Su che tipo di atleti rappresentino si è lungo discusso. L'atteggiamento della mano destra protesa in avanti, quasi a configurare una sorta di presa, farebbe pensare a lottatori ritratti in posizione di guardia, sebbene l'inclinazione eccessiva del busto risulti anomala per questo tipo di competizione e la poca mobilità dei piedi appaia non consona ad una pratica sportiva in cui è richiesta la massima aderenza alla superficie. Il tipo di muscolatura esile, l'avanzamento del piede sinistro, quasi ad immaginare l'atleta posto sulla linea di partenza di una gara di corsa, laddove era collocata una sorta di incavo per favorire lo slancio iniziale, fanno decisamente propendere per la rappresentazione di corridori. La collocazione delle due statue di corridori nei pressi della statua bronzea di Hermes a riposo, pure conservata nel Museo di Napoli, rappresenta un evidente richiamo al tema del Ginnasio, di cui Hermes Enagònios (Hermes quale giudice di gara, combattimento, lotta) rappresentava il dio protettore.
SCULTURE ANTICHE: Hermes in riposo, ante 79 d. C., scultura in bronzo, copia di epoca romana da originale greco - Gallery: Museo Archeologico Nazionale, Napoli
INV. N. 1304
L' Hermes in riposo è una scultura in bronzo di epoca romana databile a prima del 79 d.C. e conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La scultura fu rinvenuta a seguito degli scavi dell'area vesuviana nel 1758 presso la Villa dei Papiri di Ercolano.
L'opera, che raffigura il dio Hermes seduto su una roccia, è ritenuta copia romana da un'originale greco del IV a.C. circa, attribuito a Lisippo su base stilistica, ma non attestato dalle fonti letterarie antiche. Il tipo, riprodotto in diverse copie, prende il nome di Hermes Merida-Vienna dalle copie principali, quella marmorea di Mérida e quella bronzea del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
La Villa dei Papiri, chiamata anche Villa dei Pisoni, si situa al di fuori delle mura di Ercolano. Tuttora sepolta ad una notevole profondità (oltre 20 metri), è stata esplorata in epoca borbonica fra il 1750 ed il 1765 con il sistema dei cunicoli, grazie al quale sono state individuate e riportate alla luce 93 opere d'arte, per lo più statue in bronzo e marmo, che costituiscono solo una parte della ricca decorazione della villa, oltre alla biblioteca di 1758 rotoli di papiri, con testi greci di filosofia epicurea, che hanno dato il nome alla villa. Scavi recentissimi (anni '90) hanno fatto recuperare altre 4 opere d'arte.
giovedì 18 febbraio 2016
martedì 16 febbraio 2016
lunedì 15 febbraio 2016
domenica 14 febbraio 2016
GUERCINO, Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 1591 - Bologna, 1666): Et in Arcadia ego, 1618, olio su tela, 78 x 89 cm - Gallery: Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma
INV. N. 1300
Et in Arcadia ego
Questo è uno dei dipinti più noti del Guercino. Essa mostra due pastorelli che hanno scoperto un teschio. Il titolo potrebbe essere interpretato come una frase pronunciata da Morte ( "Anche io sono in Arcadia"). Ma ogni significato morale per il lavoro si perde in un momento di pura contemplazione.
Questo dipinto è direttamente collegato al Apollo e Marsia che Guercino effettua per il Granduca di Toscana nel 1618 (Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze): entrambe le immagini hanno lo stesso gruppo di pastori. In questo quadro, Guercino trasforma gli spettatori in protagonisti. Un'esplorazione efficace del memento mori che ottiene con l'aggiunta del cranio, e la scritta Et in Arcadia ego. Opera giovanile del Guercino, il dipinto è stato eseguito prima del suo periodo romano (1621-1623) e dopo il suo viaggio a Venezia, dove questo tipo di moralizzante allegoria era molto popolare. La tela è stata datata alternativamente al 1618 e il 1622.
L'iconografia del memento mori in un ambiente pastorale, derivata dalle Ecologues di Virgilio, era ben noto in arte veneziana e romana dal Rinascimento in poi; ma qui per la prima volta viene esplicitamente spiegata mediante l'aggiunta della scritta.
(da Web Gallery of Art )
Et in Arcadia ego
Questo è uno dei dipinti più noti del Guercino. Essa mostra due pastorelli che hanno scoperto un teschio. Il titolo potrebbe essere interpretato come una frase pronunciata da Morte ( "Anche io sono in Arcadia"). Ma ogni significato morale per il lavoro si perde in un momento di pura contemplazione.
Questo dipinto è direttamente collegato al Apollo e Marsia che Guercino effettua per il Granduca di Toscana nel 1618 (Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze): entrambe le immagini hanno lo stesso gruppo di pastori. In questo quadro, Guercino trasforma gli spettatori in protagonisti. Un'esplorazione efficace del memento mori che ottiene con l'aggiunta del cranio, e la scritta Et in Arcadia ego. Opera giovanile del Guercino, il dipinto è stato eseguito prima del suo periodo romano (1621-1623) e dopo il suo viaggio a Venezia, dove questo tipo di moralizzante allegoria era molto popolare. La tela è stata datata alternativamente al 1618 e il 1622.
L'iconografia del memento mori in un ambiente pastorale, derivata dalle Ecologues di Virgilio, era ben noto in arte veneziana e romana dal Rinascimento in poi; ma qui per la prima volta viene esplicitamente spiegata mediante l'aggiunta della scritta.
(da Web Gallery of Art )
POUSSIN, Nicolas French painter (b. 1594, Les Andelys, d. 1665, Roma): I pastori d'Arcadia ("Et in Arcadia ego"), 1629-30 ca, olio su tela, 101 x 82 cm - Gallery: The Duke of Devonshire Collection, Chatsworth
INV. N. 1299
I pastori d'Arcadia
I pastori d'Arcadia
"La poesia di questo famoso quadro - cui Erwin Panofsky ha dedicato uno dei suoi raffinatissimi studi sul significato nelle arti visive - è ambientata in Arcadia, la regione della Grecia dove nasce il fiume Alfeo (qui di spalle, in primo piano) e dove il mito classico e rinascimentale colloca una società pastorale dedita al canto, all'ozio ed all'amore, e libera dal denaro, dalla guerra e dalla morte. Ebbene, Poussin sceglie (forse sulla scorta di un analogo quadro di Guercino dipinto circa dieci anni prima) di mostrarci proprio il momento in cui la conoscenza della morte penetra in Arcadia: due pastori e una pastorella scoprono, nella vegetazione, un grande sarcofago su cui poggia un teschio, e ne decifrano l'iscrizione consunta. "Et in Arcadia ego" (cioè: "Anche in Arcadia io", sottinteso "sono"); una frase che si immagina dettata dalla Morte stessa)."
[Tomaso Montanari - Il Barocco - Piccola Storia dell'Arte, Einaudi - 2012]
SIMON VOUET (Parigi, 1590 - 1649): La buona ventura, 1620 ca., olio su tela, 120x 170 cm - Gallery: National Gallery of Canada, Ottawa, Ontario
INV. N. 1297
Vouet, Simon
CENNI BIOGRAFICI E OPERE
Simon Vouet (Parigi 1590 - 1649). fu primo pittore di Luigi XIII e suo maestro di disegno, visse per un lungo periodo a Roma, dove nel 1624 divenne principe dell'Accademia di S. Luca, e dove fu influenzato dalle esperienze, che poi rielaborò in modo personale, della cerchia di Caravaggio e da G. Reni. Nel campo della decorazione monumentale Vouet portò in Francia grandi innovazioni riallacciandosi con grandiosità barocca alla smagliante tradizione che era stata fondata con la scuola di Fontainebleau, arricchendola con l'esperienza di artisti quali Veronese, Correggio, Giulio Romano.
Fu a Roma (1614-26), dopo un viaggio a Costantinopoli e a Venezia (1612); vicino alla cerchia caravaggesca, ne desunse molti elementi e motivi che elaborò in maniera del tutto personale insieme ad altri di origine manieristica (Nascita della Vergine, Roma,S. Francesco a Ripa, Scene della vita di s. Francesco, Roma, S. Lorenzo in Lucina). In questo periodo italiano interessante è anche l'avvicinamento alla semplicità classicheggiante e colta di G. Reni, riscontrabile, oltre che nell'Apparizione della Vergine a s. Bruno(Napoli, S. Martino), in molte composizioni note da incisioni di C. Mellan, come la Lucrezia. Tornato in Francia (1627), V., ebbe enorme successo: eseguì ritratti, diede cartoni per arazzi, dipinse in molti palazzi di Parigi ed ebbe grande importanza come fondatore di una scuola barocca mitigata da elementi classicheggianti, prettamente francese. Tra le opere di soggetto religioso, notevole la Presentazione al Tempio (Parigi, Louvre), commissionata nel 1641 da Richelieu per la chiesa dei gesuiti St. Paul-St. Louis, in cui il soggetto viene trattato in maniera meno enfatica, lo spazio è più accuratamente definito dalle architetture, e il colore più freddo mostra l'influenza di Philippe de Champagne. Dei pannelli con composizioni allegoriche una serie è conservata al Louvre e una Allegoria della Pace a Chatsworth; quest'ultima tutta concepita in termini di luce e colore, dal disegno più libero e dal modellato più morbido, rivela l'importanza che anche l'arte veneziana ebbe nella formazione di Vouet. Molte delle decorazioni pittoriche a Fontainebleau, per il Palais Royal, per l'Hôtel Séguier, per il castello di Rueil, ecc., ormai distrutte, ci sono note attraverso incisioni. Tra i suoi allievi E. Lesueur, Ch. Lebrun, P. Mignard.
(da Enciclopedia on line Treccani)
sabato 13 febbraio 2016
SIMON VOUET (Parigi, 1590 - 1649): Ritratto di giovane, 1623 ca., olio su tela, 64 x 48 cm - Gallery: Musée Réattu, Arles, Francia
INV. N. 1296
Così lo storico dell'arte, Tomaso Montanari parla dell'opera:
Così lo storico dell'arte, Tomaso Montanari parla dell'opera:
"Dopo aver seguito l'ambasciatore di Francia fino a Costantinopoli, (dove realizzò ritratti ottomani che si vorrebbe tanto poter conoscere), nel 1614 Simon Vouet venne inviato in Italia dal proprio re, per perfezionarsi nell'arte della pittura. I risultati superarono ogni previsione: a Roma egli si "convertì" al caravaggismo e fu tanto ammirato da dipingere per la basilica di San Pietro, e da esser confermato per tre anni alla guida dell'Accademia di San Luca. Accanto a quadri di genere e a quadri sacri, Vouet coltivò un'intensissima vena ritrattistica, alla quale appartiene questo volto straordianriamente vivo."
"Avrà vent'anni, questo ragazzo. Ci sente arrivare, si volta di scatto e - vedendoci - sgrana gli occhi e spalanca la bocca, salutandoci. Ed è tutto: niente oggetti ( si intravede giusto il pomo dell'elsa della spada), niente attributi sociali, niente ambiente, niente azione. Niente di niente, se non colore - marrone in tutti i toni, bianco abbagliante, il rosso delle labbra -, colore puro, spatolato, quasi materico: eppure trasmette una presenza tanto urgente, viva e parlante che fa quasi paura."
(Fonte: Tomaso Montanari - Il Barocco - Einaudi Editore - 2012)
BERNINI, Gian Lorenzo [*] (1598, Napoli - 1680, Roma): Salvator Mundi, 1679 c., marmo, diaspro di Sicilia (piedistallo), h. 103 - Basilica di San Sebastiano fuori le Mura, Roma
INV. N. 1295
Il busto del Salvatore (o Salvator Mundi) è l'ultima scultura di mano del genio del barocco Gian Lorenzo Bernini, eseguita nel 1679, quando l'artista aveva ormai ottant'anni, e da lui lasciata in testamento all' amica e committente la regina Cristina di Svezia[1]. Considerato perduto e riscoperto definitivamente nel 2001[3], è attualmente conservato nella basilica di San Sebastiano fuori le muraa Roma.
Gesù Cristo, il Salvatore, è raffigurato «più grande del naturale» (103 cm) con la mano destra leggermente sollevata, come in atto di benedire. Bernini attribuiva particolare importanza a questo «divino simulacro» che egli chiamava il suo «beniamino», cui dedicò «tutti gli sforzi della sua cristiana pietà e dell'arte medesima»[1]. Dai contemporanei fu considerata un'opera straordinaria degno testamento dell'eccezionale carriera dell'artista[1]. Per Bernini l'opera mancava «di vivacità e tenerezza e delle altre buone qualità dell'operar suo» a causa dell'età avanzata[1].
[*] Lo storico dell'arte Tomaso Montanari, uno dei maggiori studiosi del Bernini, non ritiene la scultura opera dell'artista. (da Wikipedia)
venerdì 12 febbraio 2016
EDWARD HOPPER (Nyack, New York, 1882 - 1967): Camera di New York, 1940, olio su tela - Ubicazione ignota
INV. N. 1294
I "TIPI" DI HOPPER
I "TIPI" DI HOPPER
Nel corso della sua vita, Hopper ha dichiarato che la sua arte non era una trascrizione esatta della natura; si trattava di una condensazione di molte scene e impressioni. (...) L'arte di Hopper dipendeva dalla memoria così come dall'ispirazione. Ha cercato sempre una scena tipica, non un unico, Il mondo reale era spesso troppo unico, e una versione locale specifica spesso non rendeva la comunanza della vera "scena americana", un termine che ha poi imparato a odiare perché è stato associato nella mente di molte persone con una visione nostalgica e romantica del mondo.
La descrizione di Lloyd Goodrich delle origini della Camera di New York (1932) sottolinea il suo metodo di creazione:
L'idea per la Camera a New York era stata nella mia mente molto tempo prima del dipinto. E 'stata suggerita da scorci di interni illuminati visti durante le camminate lungo le strade della città di notte, probabilmente nei pressi del quartiere in cui vivo (Washington Square), anche se non è una strada particolare o di casa, ma è piuttosto una sintesi di molte impressioni ".
Lo spettatore implicito in questo dipinto è un abitante della città che, come un voyeur, conosce gli aspetti intimi della vita di sconosciuti. Hopper ha scelto di sfumare i tratti del viso della coppia e mostra loro solo come tipi, indicando così che la nostra visione del loro mondo non ci permette di comprendere loro come individui.
giovedì 11 febbraio 2016
EDWARD HOPPER (Nyack, New York, 1882 - 1967): Compartimento C, carrozza 293, 1938, olio su tela - Gallery: Collezione privata della IBM Corporation, Armonk, New York
INV. N. 1293
Hopper studiò a New York ed esordì come illustratore. Fu a Parigi nel 1906 e nel 1909. Indifferente a ogni tendenza d'avanguardia, da allora andò maturando uno stile inconfondibile, trattando gli aspetti della vita e del paesaggio americano, fissati in atmosfere immote e solitarie, con realismo accentuato. Ebbe notevole influenza sui pittori statunitensi.
In Compartimento C, carrozza 293 c'è una donna sola, assorta nella lettura del libro e nei suoi pensieri. I protagonisti di Hopper danno l'impressione di essere persone che tentano di sfuggire a qualcosa. Essi sono richiusi in se stessi e non riescono a ottenere la vita che vorrebbero. Fuggono la società degli altri, e vorrebbero fuggire da se stessi. Essi non sono veramente a casa da nessuna parte, né in una stanza né fuori, né al lavoro né in gioco, né soli né con gli altri. È per questo che sono in movimento. La loro casa è una stazione ferroviaria, un ristorante autostradale, un distributore di benzina, un hotel o motel, uno scompartimento del treno, uno snack bar, un foyer del teatro, un cinema.
In Compartimento C, carrozza 293 c'è una donna sola, assorta nella lettura del libro e nei suoi pensieri. I protagonisti di Hopper danno l'impressione di essere persone che tentano di sfuggire a qualcosa. Essi sono richiusi in se stessi e non riescono a ottenere la vita che vorrebbero. Fuggono la società degli altri, e vorrebbero fuggire da se stessi. Essi non sono veramente a casa da nessuna parte, né in una stanza né fuori, né al lavoro né in gioco, né soli né con gli altri. È per questo che sono in movimento. La loro casa è una stazione ferroviaria, un ristorante autostradale, un distributore di benzina, un hotel o motel, uno scompartimento del treno, uno snack bar, un foyer del teatro, un cinema.
mercoledì 10 febbraio 2016
martedì 9 febbraio 2016
IL "DITTICO LOCATELLI" DI GIULIO ARISTIDE SARTORIO: "Sagra" e "Risveglio", 1906 1923, tempera su tela, 178,4 x 396 cm (cad.) - Gallery: Artgate Fondazione Cariplo, Gallerie di Piazza Scala, Milano
INV. N. 1291
Il Dittico Locatelli di Giulio Aristide Sartorio
"Sagra"
La coppia di tele faceva parte dell'apparato decorativo della palazzina edificata nel 1923 in via Giovannino de' Grassi a Milano da Giovanni Locatelli, imprenditore metallurgico contitolare della ditta Celestri & C. Oltre alle due opere in questione, Sartorio aveva realizzato per la casa dell'industriale-collezionista almeno altri dodici pannelli, perlopiù collocati come sopraporte.
Tuttavia le tele non sembrano essere state concepite in origine per il committente ambrosiano. Confermando un'ipotesi avanzata recentemente da Gloria Raimondi (1995), è infatti possibile identificare in essi due pannelli appartenenti al monumentale fregio decorativo realizzato da Sartorio per l'Esposizione Nazionale di Milano del 1906.
Al termine della mostra, il fregio viene smontato e custodito da Sartorio presso i materiali di deposito del proprio atelier fino agli anni del primo dopoguerra. Nel 1923 l'artista ne recupera e rielabora alcuni pannelli per allestire un nuovo complesso decorativo, quello appunto destinato a Casa Locatelli a Milano. Durante questa operazione i contenuti delle scene vengono ricontestualizzati: nel pendant in questione Sartorio intende infatti celebrare la partecipazione italiana al primo conflitto mondiale, intesa come coronamento del processo di riscatto nazionale. Del resto, secondo l'artista stesso, nel fregio del 1906 "per associazione spirituale, l'azione, è intesa a liberare l'umanità dalla schiavitù mentale, dal misticismo nordico" (ibidem..., 1906), una concezione della supremazia del "genio italico" in sintonia con le teorie nazionaliste diffuse negli anni Venti. Risveglio, che simboleggia l'adesione italiana alla guerra antiaustriaca suggellata dalla data del 24 maggio 1915, è identificabile nel pannello che nel 1906 raffigurava il risorgere vivo della Stirpe; Sagra è invece ricalcato sulla scena originariamente intitolata Gli artisti rialzano Venere, effetto del patrocinio delle arti promosso dalla civiltà dell'antica Roma. Il secondo pannello viene trasformato da Sartorio nella raffigurazione dell'enfasi che accompagna la vittoria del 4 novembre 1918: oltre all'inserimento delle date, durante la ridipintura vengono apportate modifiche al medaglione sorretto dalle tre Grazie, dove Sartorio iscrive i nomi del Carso, del Piave e di Vittorio Veneto, luoghi cruciali della Grande Guerra. L'intervento pittorico del 1923 comprende inoltre la ridefinizione cromatica delle figure. Infatti Sartorio dall'unitarietà monotonale originaria, particolarmente idonea a un fregio che ambisce a gareggiare con la scultura, passa all'uso di tinte accese, impostate sull'accostamento del rosa e dell'azzurro.
"Risveglio"
Sartòrio, Giulio Aristide
Cenni biografici
Pittore nato a Roma nel 1860 ed ivi morto nel 1932. Formatosi all'Accademia di belle arti di Roma, esordì nell'orbita di M. Fortuny per poi volgersi, sotto l'influenza di F. P. Michetti, a un verismo d'accento umanitario (La malaria, 1882, Córdoba, Argentina, Museo); nel 1884 visitò Parigi. A questo periodo appartengono le prime illustrazioni per la Cronaca bizantina di A. Sommaruga, per il Convito di A. de Bosis, per l'Isotta Guttadauro di G. D'Annunzio, che attestano il graduale passaggio a uno stile decorativo d'ascendenza liberty, caratterizzato da una maggiore minuziosità disegnativa. Nel 1889 vinse la medaglia d'oro all'Esposizione Universale di Parigi con I figli di Caino (frammento, Roma, Istituto S. Michele). Accostatosi alle ricerche condotte da N. Costa, nel 1890 eseguì i primi paesaggi (Veduta di Ninfa, 1890, Roma, Galleria comunale d'arte moderna) e aderì all'associazione In Arte Libertas; nello stesso anno ricevette la commissione per il trittico Le vergini savie e le vergini folli (Roma, Galleria comunale d'arte moderna). Dopo un viaggio (1893) in Inghilterra, nel 1895 fu chiamato a insegnare all'Accademia di belle arti di Weimar. Durante il soggiorno in Germania (1895-99), oltre ai numerosi studî di animali e paesaggi, portò a termine il ditticoDiana d'Efeso e gli schiavi e La Gorgone e gli eroi (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), opera di un decorativismo monumentale carico di enfasi drammatica e di ricordi preraffaelliti. Rientrato in Italia, accanto all'attività di paesista che lo vide, nel 1904, tra i promotori del gruppo dei XXV della Campagna Romana, ebbe numerose commissioni pubbliche (fregio decorativo per la nuova aula del Parlamento, 1908-12; ecc.) in cui l'ispirazione letteraria si fonde a una ricercata eleganza disegnativa. Nel dopoguerra lavorò ai bozzetti per la decorazione a mosaico del duomo di Messina. Fu anche scrittore e critico d'arte.
(Fonte: Enciclopedia Treccani)
lunedì 8 febbraio 2016
HANS HOLBEIN il GIOVANE (b. 1497, Augsburg, d. 1543, Londra): Ritratto del mercante Georg Gisze, 1532, Oil on wood, 96,3 x 85,7 cm - Gallery: Staatliche Museen, Berlino
INV. N. 1290
Holbein, Hans, il Giovane
Holbein, Hans, il Giovane. - Pittore e incisore (Augusta 1497 - Londra 1543). Allievo del padre, Hans il Vecchio, nelle sue opere si percepiscono chiari influssi del repertorio formale del Rinascimento italiano. In contatto con la cerchia umanistica erasmiana, acquistò fama di ritrattista, mostrando finezza di indagine psicologica ed elevatissima abilità tecnica (Sir Thomas More, 1527, New York, Granger collection).
In stretto rapporto con H. Burgkmair, a diciassette anni si trasferì a Basilea, poi (1517) a Lucerna (vi dipinse l'affresco della casa del sindaco Jacob von Hertenstein); in quell'anno diede i primi disegni per vetrate. H. conobbe sicuramente l'opera di M. Grünewald a Isenheim. Si è supposto che abbia anche viaggiato inItalia tra il 1517 e il 1519, ma ciò è secondo alcuni da escludere, benché si trovino nelle sue opere elementi di derivazione lombarda e padovana; conobbe l'arte italiana soprattutto attraverso incisioni. Dal 1516 illustrò i libri di Froben, editore diErasmo da Rotterdam, ed entrò in contatto con la cerchia umanistica erasmiana. Nel1519 era nuovamente a Basilea, dove trovò influenti mecenati (J. Meyer, B. Amerbach, Erasmo) e si sposò; fu poi intorno a Costanza, indi (1524) in Francia (fu ad Avignone, a Lione, a Bourges e nella Loira) e nel 1526 partì da Basilea alla volta dei Paesi Bassi. Trasferitosi in Inghilterra, fu ospite di Tommaso Moro e vi acquistò fama di ritrattista. Nel 1528 ritornò a Basilea; nel 1532 è nuovamente documentato a Londra. Divenne (dal 1537) pittore aulico di Enrico VIII. Morì a Londra, di peste.
Nei suoi ritratti H. mostra una finezza di indagine psicologica e una precisione tecnica superiori a quelle che si riscontrano nel padre. Ciò è già evidente nei ritratti del borgomastro Meyer e della consorte (1516; Basilea). Altri ritratti celebri sono quelli di Erasmo da Rotterdam e di Anna di Cleve (museo del Louvre); i ritratti di Enrico VIII, di s. Tommaso Moro, dell'arcivescovo di Canterbury. Gli affreschi nel Palazzo Comunale di Basilea (1521) sono scomparsi; ma a quel periodo appartiene una pala con otto scene della passione (polittico di Friburgo), la predella con Cristo morto (1521; Basilea) e la Madonna di Soletta (1522). In Francia eseguì le due serie di incisioni in legno Imagines mortis e Icones Veteris Testamenti. Sue opere importanti sono anche nelle collez. di Berlino, Firenze, Francoforte, L'Aia, Parigi, Londra; le principali collezioni di disegni (celebri le serie di ritratti) a Basilea, Londra, Windsor.
[fonte: Enciclopedia Treccani]
domenica 7 febbraio 2016
venerdì 5 febbraio 2016
giovedì 4 febbraio 2016
DONATELLO (Donato di Niccolò di Betto Bardi) (Firenze, 1386 - 1466): David, 1430s, scultura in bronzo, h. 158 cm - Gallery: Museo Nazionale del Bargello, Firenze
INV. N. 1285
Il DAVID di DONATELLO
Il DAVID di DONATELLO
La prima parte dell'attività artistica di Donatello termina nel 1430 proprio con la realizzazione della statua in bronzo del David. E 'stato originariamente collocato nel cortile del palazzo Medici-Riccardi, ma dopo la confisca del palazzo dei Medici nel 1495 è stato spostato al cortile di Palazzo Vecchio. Oggi è esposta al Museo Nazionale del Bargello, sempre a Firenze.
Il David mostra l'elegante gestione di Donatello dell'idea di forma derivata da Prassitele. Ma se l'artista si rivolse all'antichità per la rappresentazione del nudo e per l'equilibrio statico della composizione, la vitalità che anima la statua, dal volto giovane riflessivo all'ombra del casco alato, alla testa mozzata di Golia, tutto è nuovo. La luce si attiva in linee che consentono di ammirare con estrema fluidità la statua da qualunque punto di vista dell'osservatore.
Il Vasari così scrive: "Nel cortile del palazzo della Signoria si trova una statua in bronzo di David, una figura nuda, a grandezza naturale, dopo aver tagliato la testa di Golia, Davide sta alzando il piede e l'immissione su di lui, e egli ha una spada nella mano destra. Questa cifra è così naturale nella sua vivacità e morbidezza che gli artisti trovano quasi impossibile credere che non è stato modellato sulla forma vivente. un tempo si trovava nel cortile della casa dei Medici, ma è stato spostato nella nuova posizione dopo l'esilio di Cosimo. " (da Web Gallery of Art )
La vita e l'arte di Donatello
(dal Dizionario Biografico Treccani):
BARDI, Donato, detto Donatello di Horst W. Janson
mercoledì 3 febbraio 2016
ANDREA del VERROCCHIO, Italian painter and sculptor, Florentine school (b. 1435, Firenze, d. 1488, Venezia): David vittorioso, 1473-75, scultura in bronzo, h. 125 cm - Gallery: Museo Nazionale del Bargello, Firenze
INV. N. 1284
Biografia:
N.B. La testa di Golia è posta tra i piedi di David, qui risulta spostata in quanto la foto fu ripresa durante lavori di restauro. Tuttavia ho scelto questo foto perché, per la qualità dell'immagine, è quella che consente di apprezzare in tutti i suoi particolari la preziosa scultura.
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