lunedì 28 aprile 2014

MASOLINO da PANICALE, Tommaso di Cristoforo Fini, (noto come) (San Giovanni Valdarno, 1383 – Firenze, 1440 ca.): "Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita", 1424-1425, affresco, 260 x 599 cm - Cappella Brancacci, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze


VISTI DA VICINO: I neofiti, da "Il battesimo dei neofiti" del Masaccio

"(...) Tutta la scena, d'altronde, nella visione generale come nei dettagli, è straordinaria per la pregnante verosimiglianza con la quale l'evento antico è reso vivo e attuale: Masaccio riesce a suscitare la piena comprensione e immedesimazione dell'osservatore.

Già il personaggio inginocchiato in primo piano sembra riassumere in sé la pienezza del nuovo spirito rinascimentale, che pone l'uomo al centro della natura e interamente consapevole delle proprie azioni. Il vigoroso nudo giovanile, anatomicamente perfetto, è espressione anche di una bellezza spirituale, temprata dal sacramento che sta ricevendo e che si attua attraverso una sequenza di fenomeni studiati in dettaglio dal vero. L'acqua trasparente del fiume forma gorghi leggeri attorno alle sue ginocchia, mentre quella versata dalla ciotola intride i suoi capelli, incollandoli al volto e formando spruzzi leggeri nell'impatto con la testa e poi con l'acqua del fiume.


Dietro di lui, un'altra invenzione masaccesca è il ragazzo seminudo che attende il battesimo, rabbrividendo per il freddo con un gesto che lo fa sentire immediatamente vicino a chiunque lo guardi. Anche gli altri personaggi distribuiti su più piani arretrati partecipano all'evento sacro con attitudini dettate dall'umana contingenza: la figura in azzurro, recuperata nella sua piena bellezza dal restauro, sta finendo di abbottonarsi la veste, con il capo chino da cui scendono le ciocche bagnate dei capelli, e il volto assorto, compreso ancora della solennità dell'evento che si è appena concluso. Al suo fianco, un giovane dai lunghi capelli biondi si sta spogliando, mentre altri sono in attesa e sembrano alludere, grazie alla presenza della figura che compare tagliata a metà sul margine destro, al proseguire di una processione numerosa, come narra appunto il testo degli Atti degli Apostoli." (Elisa Del Carlo, 'La Cappella Brancacci, Edizioni Mandragora, 2012)

BEATO ANGELICO: "Annunciazione", 1442-43, affresco, 230 x 321 cm - Convento di San Marco, Firenze


CAPPELLA BRANCACCI: "La tentazione di Adamo ed Eva" di Masolino e "La cacciata dal Paradiso Terrestre" di Masaccio

          

Masolino da Panicale,                                          Masaccio, 
"La tentazione di Adamo ed Eva"                   "La cacciata dal Paradiso Terrestre"
1424 - 1425                                                                 1425 - 1427



"Nella "Tentazione di Adamo ed Eva", di Masolino, i progenitori sono ritratti come due creature di apollineo candore, con i corpi dolcemente arrotondati grazie alla tecnica pittorica del chiaroscuro, che dà alle forme un modellato levigato e luminoso. Masolino nel colorire i due corpi, segue la tradizione dell'antichità classica, che anche Masaccio rispetterà nell'affresco di fronte, e che prevede una tonalità più intensa per l'incarnato maschile e per la donna un'epidermide chiara, che qui assume una tonalità dolcemente perlacea. Le proporzioni armoniche del corpo di Eva evocano l'ideale bellezza di una statua classica, mentre il volto di Adamo, per il trattamento dei capelli, la forma del viso e il naso adunco, è stato paragonato ai noti ritratti dell'imperatore Tiberio. 
L'intensità drammatica dell'episodio biblico (la "Cacciata dal Paradiso Terrestre" dipinto dal Masaccio, n.d.r.), e insieme l'attitudine mentale e figurativa di Masaccio, fanno sì che l'artista raggiunga qui uno dei vertici non solo della sua arte, ma in assoluto della pittura di ogni tempo. Forma ed espressione diventano un inscindibile tutt'uno nelle due figure disperate, dove il corpo muscoloso di Adamo si incurva sotto il carico del dolore e della vergogna, e il volto di Eva si distorce deformato dall'angoscia. Le loro nudità fanno intendere peraltro che Masaccio aveva guardato a modelli scultorei recenti e antichi, che per Adamo possono essere identificati nei torsi della statuaria classica, ma anche nel Cristo ligneo di Donatello in Santa Croce a Firenze, mentre l'attitudine di Eva, che cela seni e pube, sembra ispirata dal tipo della Venus pudica dell'arte ellenistica e romana. Ma ogni riferimento ai precedenti artistici è trasfigurato e superato nella carica di verità e di sofferta umanità che le due figure incarnano, con una intensità espressiva che compare ora per la prima volta nell'arte del Quattrocento fiorentino." (Elisa Del Carlo, 'La Cappella Brancacci', Edizioni Mandragora, 2012)

lunedì 21 aprile 2014

CARRACCI, Annibale: GLI AFFRESCHI DI PALAZZO FARNESE A ROMA

ANNIBALE CARRACCI

GLI AFFRESCHI DI PALAZZO FARNESE A ROMA

Il programma originario per la decorazione del palazzo dei Farnese, come ci informa una lettera del cardinale Odoardo a suo fratello Ranuccio, duca di Parma, avrebbe dovuto riguardare la celebrazione del valore militare di Alessandro Farnese, padre di entrambi e valente condottiero, copertosi di gloria nelle Fiandre alla guida delle armate imperiali. Programma, quindi, in linea di continuità con la celebrazione dei fasti della casata, avviata dal Salviati e completata da Taddeo Zuccari nel sesto decennio del XVI secolo. Per ragioni non note questo progetto venne abbandonato e la campagna decorativa del palazzo ebbe avvio, verosimilmente alla fine del 1595 o all’inizio dell’anno successivo, partendo - secondo la prospettazione più comune, ma non unanimemente condivisa - dal camerino, in cui Annibale ed Agostino raffigurarono, ad affresco, le storie di Ercole.
Mirabile, nel camerino, come già rilevò il Baglione, è la decorazione monocroma a finto stucco che richiama il capolavoro di Correggio della Camera di san Paolo, a Parma, di cui i fratelli Carracci invertirono le proporzioni: mentre a Parma è la parte policroma dell’affresco dell’Allegri a inglobare i monocromi, nel camerino di Odoardo Farnese avviene il contrario. Oltre alla decorazione ad affresco, ancora per il camerino del cardinale Farnese, Annibale realizzò una grande tela raffigurante Ercole al bivio, incastonata nel soffitto dell’ambiente, dove la figura dell’eroe rimanda alla celebre statua dell’Ercole Farnese, allora ancora a palazzo (il dipinto venne poi rimosso dalla sua collocazione originaria e si trova oggi nel Museo di Capodimonte a Napoli).
Nello stesso Palazzo Farnese, Annibale, ancora coadiuvato da Agostino e probabilmente con l’intervento di alcuni aiuti, pose poi mano alla decorazione della Galleria. Il tema di questo celeberrimo ciclo di affreschi - culminante nella scena raffigurante il Trionfo di Bacco e Arianna al centro del soffitto - è Gli Amori degli Dei e secondo una seguita ipotesi esso venne realizzato per celebrare le nozze tra il duca di Parma Ranuccio Farnese, fratello del cardinale Odoardo, e Margherita Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. La fonte iconografica utilizzata è, almeno in parte, da rintracciarsi nelle Metamorfosi di Ovidio, ma il compiuto significato allegorico del ciclo non è ancora del tutto svelato se non per la generale celebrazione della forza dell’amore che tutto condiziona (l’amor vincit omnia virgiliano), compreso il destino degli dei.
La decorazione della Galleria è quanto mai ricca e si compendia in un articolato dialogo tra pittura, scultura ed architettura, in un complesso gioco di rimandi tra illusione e realtà: le immaginarie sculture dipinte dai Carracci erano infatti in rapporto con alcune delle celebri statue antiche della collezione Farnese, allora nella Galleria ed oggi non più in loco.
Telamoni, ignudi e finti bronzi della decorazione pittorica sono citazioni della michelangiolesca volta sistina. Ed anche la scelta di ambientare le scene mitologiche in quadri riportati – cioè creando l’illusione che la scene dipinte siano state stese su una tela poi applicata al muro, e non direttamente affrescate sulla parete, come in realtà è – guarda ancora alla volta di Michelangelo che usò lo stesso accorgimento per le Storie della Genesi della stessa volta.
Ulteriori riferimenti seguiti da Annibale nell’impresa della Galleria farnesiana sono costituiti dagli affreschi di Raffaello (e della sua équipe) della Loggia di Psiche, realizzati per la villa sul Tevere di Agostino Chigi, e dalle tele di Tiziano dedicate al dio Bacco, dipinte dal maestro di Pieve di Cadore per i camerini estensi ferraresi. Le tele tizianesche, infatti, furono parte del ricco bottino che il cardinale Pietro Aldobrandini (conosciuto dal Carracci) portò con sé a Roma da Ferrara, allorché la città, nel 1598, passò dal dominio estense a quello pontificio.
Della campagna per la volta della Galleria di Palazzo Farnese, conclusasi orientativamente nel 1601, ci restano anche moltissimi disegni e schizzi preparatori di mano di Annibale (di cui parte cospicua si trova al Louvre).
Gli affreschi farnesiani ispireranno successivamente altri grandi artisti, quali Lanfranco, Pietro da Cortona, e successivamente Andrea Pozzo e Giovan Battista Gaulli, autori tutti di spettacolari volte affrescate - in chiese e palazzi - che sono tra le più mirabili produzioni della pittura barocca.

Fonti: Descrizione e cenni storici: Wikipedia -  http://it.wikipedia.org/wiki/Annibale_Carracci 
           Immagini: Web Gallery of Art - http://www.wga.hu/index1.html







CARRACCI, Annibale: "Le pie donne sulla tomba di Cristo", 1590s, Oil on canvas, 121 x1 46 cm - The Hermitage, St. Petersburg


CARRACCI, Annibale: "Pietà con S. Francesco e Maria Maddalena", 1602-07, Oil on canvas, 277 x 186 cm - Musée du Louvre, Paris


CARRACCI, Annibale: "La Maddalena penitente in un paesaggio", c. 1598, Oil on copper, 32 x 43 cm - Fitzwilliam Museum, Cambridge


sabato 19 aprile 2014

CARAVAGGIO, Michelangelo Merisi (da): "La conversione della Maddalena" (o anche "Marta e Maria Maddalena"), c. 1598, Oil on canvas, 98 x 133 cm - Institute of Arts, Detroit


"Splendida e splendidamente vestita di lucide sete, Maria Maddalena è rappresentata nel momento della conversione per l'illuminazione interiore della Grazia. Il leonardesco fiore d'arancio che tiene in mano e il filo d'oro all' anulare sinistro indicano forse le sue mistiche nozze col Cristo. Bellissima come vuole la tradizione patristica e considerata sorella di Marta e di Lazzaro, secondo una credenza diffusa nel Medioevo e nel Rinascimento, Maddalena contrasta con l'umile Marta che, in ombra e dimessamente vestita, con buone parole e rimproveri si fa tramite dell' amore e della grazia divina. Dalle sue mani, che sembrano enumerare con le dita i miracoli di Gesù, la luce redentrice della Grazia, in consonanza con lo spirito post-tridentino, scorre ad illuminare il volto (e la mente e il cuore) della Maddalena, ormai convertita e in mistica contemplazione. Sul tavolo gli oggetti della «vanitas», emblemi della vita peccaminosa: un realistico pettine d'avorio senza un dente, il vasetto portacipria (il veneziano «sponzarol ») e il grande specchio convesso, nella cui profonda oscurità si riflette la luce-grazia, un tassello luminoso indicato con la mano sinistra dalla Maddalena. «Possiamo tenere per certo - scrive il Calvesi - che lo specchio additato dalla Maddalena testimonia la sua dedizione a Dio» perché rappresenta la mente che ha accolto la luce divina. Il nesso «mente come uno specchio di Iddio» è derivato dal Ficino, mentre San Paolo afferma che il divino si conosce nella vita terrena riflesso come in uno specchio." 
(fonte IL CARAVAGGIO Le opere - http://www.michelangelomerisi.it/la-conversione-della-maddalena/)

venerdì 18 aprile 2014

CARAVAGGIO, Michelangelo Merisi (da) "Cattura di Cristo", c. 1602, Oil on canvas, 134 x 170 cm - National Gallery of Ireland, Dublino




Di proprietà della comunità gesuita di Dublino, è in prestito a tempo indeterminato nella National Gallery of Ireland di Dublino.
Durante il soggiorno romano dell'artista, Ciriaco Mattei commissionò al Caravaggio il dipinto. Suo fratello, il cardinale Gerolamo Mattei suggerì il soggetto, l'iconografia e l'ambientazione. Il 2 gennaio 1603 il committente pagava centoventicinque scudi per questa tela. L'azione è raffigurata su una tela posta in orizzontale. Gesù è raffigurato immobile e dimesso; Giuda lo schiaccia. Il centro visivo del quadro è formato dalle due teste contrapposte dei protagonisti. Il perno compositivo della scena è fissato dai volti del Cristo, che prefigura i patimenti e la sua Passione, di Giuda e di San Giovanni, che è colto in fuga, dal viso bloccato in un urlo, che presagisce le sofferenze del Messia che seguiranno alla sua Cattura. Sul lato destro del quadro un uomo, che assiste alla cattura di Gesù e che illumina la scena con una lanterna, ha le sembianze, secondo lo storico d'arte Roberto Longhi, del Caravaggio stesso. La lanterna in mano al Caravaggio, secondo un altro storico d'arte Maurizio Marini, ricorderebbe Diogene e la ricerca della fede e della redenzione a cui il pittore tendeva. La frenesia dell'insieme, data dallo sbilanciamento delle figure e ravvisata dai guizzi di luce sulle corazze dei soldati, rende il fare concitato e dinamico della scena.
Il quadro è stato scoperto nel 1990 da Sergio Benedetti, capo curatore della National Gallery of Ireland. Di quest'opera esistono almeno 12 copie sicure, di cui una, quella conservata in un museo di Odessa, venne a lungo ritenuta quella originale; l'opera qui presente era invece ritenuta di Gerard van Honthorst, noto anche con il nome di Gherardo delle Notti. (fonte Wikipedia)




"Autoritratto" del Caravaggio
In questa immagine si può osservare da vicino la figura dell'uomo sulla destra del dipinto, che con una mano solleva una lanterna ad illuminare parte della scena e che i più autorevoli esperti d'arte, in primis il grande Roberto Longhi, e poi lo stesso Sergio Benedetti, lo scopritore dell'opera, hanno identificato come un Autoritratto del Caravaggio.  

venerdì 11 aprile 2014

CARAVAGGIO, Michelangelo Merisi: Le due versioni del "Ragazzo morso da un ramarro"

Il "Ragazzo morso da un ramarro" venne dipinto dal Caravaggio negli anni in cui egli abitava presso un prelato, monsignor Pandolfo Pucci, e vanno collocati, secondo la tesi di Giulio Mancini, tra i primi quadri dipinti "senza soggetto". "È probabile che l’opera abbia un significato morale, e cioè che nel grande piacere si nasconde anche un grande dolore. Il riferimento sembra essere proprio al piacere e alle pene d'amore, come la scelta del modello effeminato, con una rosa tra i capelli e la spalla destra scoperta sembrerebbero suggerire. Le ciliegie appaiate sarebbero, infatti, un simbolo sessuale, così come il gelsomino bianco alluderebbe al desiderio, mentre la rosa fra i capelli del giovane effeminato sarebbe un riferimento all'amore. Il dipinto risentirebbe, dunque, del clima culturale ed edonistico che si respirava a Palazzo Madama alla corte del cardinale Francesco Maria del Monte, che amava festini con giovani effeminati, vestiti all'antica, che si esibivano in rappresentazioni teatrali e musicali." (fonte Wikipedia) 
"A fianco del ragazzo che si ritrae istintivamente al'indietro, in una tardiva posa di difesa, si staglia il vaso trasparente con i fiori, un brano che preannuncia anch'esso la sensibilità per la raffigurazione di frutti e soprattutto di fiori, fragili nei loro contenitori cristallini, su cui il pittore è in grado di far riflettere e risplendere la luce." (Francesca Cappelletti, "Caravaggio", collana I GRANDI MAESTRI)

La prima versione, realizzata su tela tra il 1595 ed il 1596 e conservata presso la Fondazione Longhi di Firenze, è senza dubbio opera autografa di Caravaggio.
La seconda, realizzata su tela tra il 1595 e il 1600 (e comunque successiva alla precedente) è anch'essa opera autografa ed è conservata presso la National Gallery di Londra. Quest'ultima opera è stata acquisita dal Museo attraverso il contributo della Fondazione J. Paul Getty Jr. nel 1986.

Le due versioni che per struttura sono pressoché identiche, hanno due elementi che le differenziano e sono la diversa espressione del viso del ragazzo, più energica e dura la smorfia di dolore nella versione di Firenze, molto meno forte e più fanciullesca nella versione di Londra, e il vaso con i fiori, trasparentissimo nella versione di Firenze, molto meno in quella di Londra.  


 Versione di Firenze                                                   Versione di Londra

SALVADOR DALI': "Venere con amorini", 1925, olio su tela


SALVADOR DALI': "Autoritratto", olio su tela


SALVADOR DALI': "Donna con testa di rose", 1935


giovedì 10 aprile 2014

VISTI DA VICINO: Caravaggio, Autoritratto (particolare dal "Martirio di San Matteo")



Michelangelo Merisi da Caravaggio
"Martirio di San Matteo"
Particolare dell'autoritratto di Caravaggio
Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarini, Roma

VISTI DA VICINO: Michelangelo, particolare del volto di Cristo della "Pietà" vaticana


Michelangelo Buonarroti
"Pietà"
Particolare del volto del Cristo
Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

mercoledì 9 aprile 2014

VISTI DA VICINO: La mano di Gesù dalla "Vocazione di S. Matteo" del Caravaggio e quella di Adamo dalla "Creazione di Adamo" di Michelangelo



Caravaggio: Gesù chiama Matteo indicandolo con la mano destra, dalla "Vocazione di San Matteo" - Cappella Contarini, Chiesa di San Luigi de' Francesi, Roma.










Michelangelo: Adamo che riceve la vita da Dio, dalla "Creazione di Adamo", volta della Cappella Sistina, Città del Vaticano


La mano di Adamo dipinta da Michelangelo



La mano di Gesù dipinta da Caravaggio

CARAVAGGIO: "Deposizione", 1602-1603, olio su tela, 300 x 203 cm - Musei Vaticani, Pinacoteca, Città del Vaticano


VISTI DA VICINO: "Cristo morto" nella "Deposizione" del Caravaggio e nella "Pietà" vaticana di Michelangelo

Per la serie VISTI DA VICINO vi propongo questa volta la figura del Cristo morto nella "Deposizione" del Caravaggio. La scelta muove da una recente e interessantissima conferenza/lezione che il prof. Antonio Paolucci, Sovrintendente dei Musei Vaticani, ha tenuto presso la Sala Sinopoli del Parco della Musica di Roma, nella quale ha proposto l'osservazione comparata dei nudi maschili di Michelangelo con quelli di Caravaggio, rilevando come, nonostante tra i due maestri corra più di un secolo di distanza, il Merisi abbia trovato ampia ispirazione dalle figure dei nudi maschili realizzate dal sommo Buonarroti. Uno degli esempi portati a dimostrazione di questa suggestiva tesi è proprio questa figura nella quale il Caravaggio ha disegnato il corpo del Cristo morto con la stessa intensità, la stessa perfezione anatomica di Michelangelo quando scolpisce il Cristo morto sulle gambe della Madonna nella celeberrima "Pietà" del Vaticano. Il particolare più eloquente di questa similitudine è il braccio destro del Cristo, abbandonato fino alla lastra di marmo sulla quale sta per essere adagiato. La maestria nella descrizione della muscolatura e delle vene ha straordinarie similitudini tra le due opere, dal che il prof. Paolucci trae motivo di conferma che il Caravaggio nella realizzazione dei suoi nudi maschili ebbe come riferimento proprio Michelangelo.     

Michelangelo Merisi da Caravaggio
"Deposizione", 1602-03
Oil on canvas, 300 x 203 cm
Musei Vaticani, Pinacoteca, Città del Vaticano



Michelangelo Buonarroti
"Pietà", 1499
Marmo, 174 x 195 cm
Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

mercoledì 2 aprile 2014

ALESSANDRO ALGARDI (1598, Bologna - 1654, Roma): "L'incontro di Papa Leone I e Attila", 1646-53, Marble, height 750 cm - Basilica di San Pietro, Città del Vaticano



BEATO ANGELICO: Le 35 tavolette dell'Armadio degli Argenti - Museo di San Marco, Firenze


I pannelli dell'Armadio degli Argenti sono una serie di opere, a tempera su tavola, di Fra Angelico, più noto come Beato Angelico, e della sua bottega, realizzati tra il 1451 e il 1453 per la Basilica della Santissima Annunziata ed oggi conservati, nelle tavole superstiti, al Museo Nazionale di San Marco di Firenze. Pare che fossero state commissionate alla bottega dell'Angelico da Piero de' Medici. La commissione faceva parte di un più ampio progetto di Piero per la creazione di un oratorio familiare tra la cappella della Vergine Annunziata e la biblioteca del convento, nel quale l'Armadio doveva essere custodito. Non si conosce la forma e la disposizione originaria dei pannelli dell'armadio, che in origine dovevano formare due porte/sportelli. Tra i collaboratori proposti per le tavolette non autografe vennero fatti i nomi di Domenico di Michelino (Berenson), il Maestro della cella 2 (Pope-Hennessy), Zanobi Strozzi e Benozzo Gozzoli (Salmi). 
Ciascuna tavoletta mostra un episodio biblico, con un doppio rotolo di pergamena, in alto e in basso, che contiene una frase rispettivamente del Vecchio e del Nuovo Testamento. La ricchezza e organicità degli spunti teologici, derivati da san Tommaso d'Aquino e dalla Summa Moralis di sant'Antonino Pierozzi, fa pensare che sicuramente vi fu un progetto completo all'origine, anche se l'esecuzione dei singoli pannelli venne poi differita. Il primo e l'ultimo dei pannelli contengono scene fortemente allegoriche alla sacre scritture, che alludono all'accostamento ed all'unitarietà dei testi biblici. Il ciclo rappresenta Fanciullezza, Vita pubblica, Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. (da Wikipedia)