L'esistenza del dipinto trova riscontro da sempre in diversi documenti, dato che l'immagine è stata per molto tempo oggetto di venerazione e di particolare devozione perché ritenuta miracolosa. Si trovava allora nella chiesa di San Rocco, attigua all'omonima Scuola Grande presso cui viene oggi conservata. Non è noto tuttavia se la sua precisa collocazione fosse su un pilastro sull'altare maggiore o sull'altare di una cappella laterale.
Il dubbio sull'attribuzione dell'autore è antico quanto il dipinto stesso: Vasari nella prima (1550) e nella seconda (1568) edizione delle Vite l'attribuisce a Giorgione, ma nella Vita di Tiziano assegna il dipinto al cadorino. L'incertezza nella paternità dell'opera è, d'altra parte, un destino comune ad un gruppo di dipinti databili intorno alla prima decade delXVI secolo: basti pensare al Concerto, o al Concerto campestre, o ancora al Gentiluomo con un libro.
In questo senso, già il saggista Ludovico Dolce aveva argutamente annotato a proposito di alcuni affreschi «credendosi comunemente, poi che ella fu discoverta, che fosse opera di Giorgione, tutti i suoi amici seco si rallegravano, come della miglior cosa che egli avesse fatto. Onde Giorgione, con suo grandissimo dispiacere rispondeva che era di mano del suo discepolo»; e anche Vasari ci racconta che Tiziano «veduto il fare e la maniera di Giorgione, lasciò la maniera di Gian Bellino, ancorché vi avesse molto tempo consumato, e si accostò a quella, così bene imitando in brieve tempo le cose di lui, che furono le sue pitture talvolta scambiate e credute opere di Giorgione».
La critica è tutt'oggi divisa sull'attribuzione all'uno o all'altro artista, sulla base dello stile e della caratterizzazione dei personaggi raffigurati, e la documentazione sulle relazioni che i due maestri ebbero con la Confraternita di San Rocco, presumibilmente committente del dipinto, non aiuta a risolvere il problema dell'attribuzione. Tiziano, infatti ha sicuramente avuto rapporti di questo tipo con il sodalizio, ma anche Giorgione aveva legami con diversi membri della Confraternita, suoi committenti, e con l'amico pittore Vincenzo Catena, anch'egli membro della stessa fraternità.
Il Cristo portacroce fu il primo esempio di un'iconografia che ebbe poi un largo seguito in Veneto e il Lombardia, venendo usata da artisti come Lorenzo Lotto, Giovanni Bellini, Andrea Solario, Niccolò Frangipane e altri. (Fonte Wikipedia)
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