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venerdì 30 marzo 2018

MICHETTI, Francesco Paolo [*] (Tocco di Casauria, 4 agosto 1851 - Francavilla al Mare, 5 marzo 1929): Autoritratto, 1877 ca., Tempera e pastello su carta - Napoli, Gallerie d'Italia, Palazzo Zevallos Stigliano

INV. N. 2092

(*) MichéttiFrancesco Paolo 
(Notizie tratte dall'Enciclopedia Treccani on line) 

Pittore e fotografo (Tocco da Casauria, Chieti, 1851 - Francavilla a Mare 1929). Recatosi nel 1867 a Napoli, studiò all'accademia con Domenico Morelli; fu condiscepolo e amico di Edoardo Dalbono e formò il suo stile in un ambiente dominato dall'influsso di M. Fortuny, raggiungendo tuttavia rapidamente una spiccata autonomia stilistica (Autoritratto giovanile Napoli, museo di S. Martino; Raccolta delle olive, esposta a Parigi nel 1875). Autore di quadri raffiguranti bambini e animali (Napoli, museo di S. Martino), nel 1877 divenne popolare col Corpus Domini (Roma, coll. privata), presentato all'Esposiz. naz. di belle arti a Napoli. Contribuì certo alla sua fama la scelta dei temi, per lo più scene e costumi di Abruzzo, in quegli stessi anni trattati da G. D'Annunzio, di cui fu amico; stretti furono anche i rapporti con A. De Nino. Oltre alle sue grandi tele (Voto, 1880-83, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna; Le serpi e Gli storpi, esposti a Parigi nel 1900, Francavilla, Palazzo Comunale; La figlia di Jorio, 1894-95, Pescara, Municipio), che rivelano l'esigenza di sottrarsi alla freddezza della pittura storica e accademica, molto note furono anche figure di pastorelle, scene d'Abruzzo, studî di teste di giovani, di popolane, di contadine, a olio e a pastello. Eseguì anche ritratti ufficiali e numerosi autoritratti. Nella ricerca di un'assoluta fedeltà alla natura, ebbe grande importanza per M. la scoperta della fotografia, cui si dedicò con entusiasmo soprattutto negli ultimi anni, quando si limitava a dipingere saltuariamente piccoli quadri quasi monocromi imperniati sulla ricerca del motivo e della luce. Il convento di S. Francesco di Paola a Francavilla, da lui acquistato e trasformato in cenacolo letterario, offre interessanti testimonianze del suo gusto liberty, che era ancor più evidente nel casino da lui costruito in riva al mare, distrutto durante la seconda guerra mondiale. Fu senatore del Regno.




MORELLI, Domenico (*) (Napoli, 1826 - 1901): Dama con ventaglio, 1873, Olio su tela - Napoli, Gallerie d'Italia, Palazzo Zevallos Stigliano

INV. N. 2091

(*) MorèlliDomenico


Pittore (Napoli 1826 - ivi 1901). Fu, con F. Palizzi, la figura dominante dell'ambiente artistico napoletano nella seconda metà del sec. 19º; prof. (dal 1870) all'accademia di Napoli, educò tutta una generazione di pittori, tra i quali F. P. Michetti. Allievo di G. Mancinelli, soggiornò poi a Roma, prima di stabilirsi definitivamente a Napoli. Il suo dipinto I martiri portati in cielo dagli angeli, del 1848(Napoli, Galleria Nazionale), dimostra il suo interesse per il realismo napoletano del Seicento. Mediante l'adesione al realismo palizziano e allo "studio dal vero", portò la rivolta antiaccademica nel seno stesso dell'Accademia, senza tuttavia riuscire a vincere la resistenza (e qui è l'intima contraddizione della sua polemica) per ogni soggetto sprovvisto di preventiva dignità poetica, extrapittorica. Il tono della sua arte, tipicamente romantico, fu caratterizzato dall'interesse psicologico e letterario del soggetto e dalla ricerca di effetti drammatici, talvolta teatrali. Raffinato colorista, erede della migliore tradizione napoletana, nel 1855 viaggiò in Germania, Paesi Bassi, Belgio, Inghilterra e Francia. M. ammirò J.-L.-E. Meissonnier, J.-L. Gérôme, E. Delacroix e M. Fortuny; nella pittura frantumata e vivida di quest'ultimo, trovò rispondenza quando, nel periodo più tardo, andava rinunciando all'istintiva consistenza formale per realizzare una pittura di "macchia". Il viaggio all'estero lo pose in contatto con moderne correnti di idee, che influenzarono durevolmente il suo lavoro. Le opere principali di M. sono nella Galleria d'arte moderna a Roma (Il conte Lara; Torquato Tasso ed Eleonora d'Este; Le tentazioni di s. Antonio), a Napoli, a Firenze, a Milano.



mercoledì 21 marzo 2018

SCULTURE ANTICHE: APHRODITE o l'Afrodite sorpresa nuda, marmo di Paros, copia romana da originale greco - Londra, British Museum

INV. N. 2089




Statua di Afrodite nota come l' "Afrodite sorpresa nuda" in marmo Paros. Il lavoro è ispirato alla celebre Afrodite di Cnido di Prassítele (qui una copia romana molto fedele all'originale: L'Aphrodite di Cnido di Prassiteleche è servita da ispirazione per numerose copie e varianti. In questa versione su piccola scala, le mancanze furono restaurate dallo scultore inglese Joseph Nollekens alla fine del XVIII secolo. Un leggero accenno al mento suggerisce che, nell'originale, la dea si toccava il viso con le dita. Opera di epoca romana, copia da originale greco del IV secolo a C., proveniente da Ostia, in Italia. E' conservata al British Museum.





PRETI, Mattia - Pittore italiano di scuola napoletana (Taverna Calabria, 1613 - La Valletta, 1699): Il concerto, 1635 ca., Olio su tela, 107 x 145 cm - Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

INV. N. 2088

Cenni su vita e opere di Mattia PRETI dalla Enciclopedia Treccani on line 


Il Concerto di Mattia Preti è un'opera che riguarda i legami artistici tra Italia e Paesi Bassi. Il suo stile è fortemente influenzato dal Caravaggio, in particolare nei suoi aspetti formali: il forte chiaroscuro raggiunge un grado estremo nei volti delle tre figure. Allo stesso tempo, il dipinto dimostra anche l'interesse nel raffigurare la vita quotidiana così caratteristica dell'arte del nord Europa, e si diletta nel dipingere i dettagli degli abiti e degli oggetti.
La composizione della scena e il raggio discendente di luce che isola i tre giovani nell'oscurità riflettono l'influenza della taverna e scene di gioco dipinte da Bartolomeo Manfredi e Valentin de Boulogne e altri primi seguaci di Caravaggio. 




ARTE CONTEMPORANEA: ARMODIO, all'anagrafe Vilmore Schenardi (Piacenza, 4 ottobre 1938 - vivente): La Rinnovata, 2011, Tempera su tavola, 34 x 24 cm - Collezione privata

INV. N. 2084


Cenni biografici:

"Armodio, all'anagrafe Vilmore Schenardi, autore piacentino nasce il 4 ottobre 1938 e già dalla tenera infanzia è travolto da una intensissima pulsione artistica. A 13 anni incontra Luciano Spazzali, una delle prime persone che incoraggia attivamente la sua passione, invitandolo in un piccolo laboratorio di artisti locali, qui incontra Gustavo Foppiani, che diverrà per Armodio un valido promotore nonché un caro amico. Tra il 1951 ed il 1952 frequenta l'Istituto Gazzola di Piacenza, pur non riconoscendovi grande importanza. Ben altro peso avrà lo Studio Spazzali o Scuola di Piacenza (come la definirà il giornalista Gaetano Pantaleoni) dove il giovane artista apprende sempre nuove tecniche trovando una propria identità e creatività. Nel 1954 abbandona il laboratorio di Spazzali e si trasferisce con Foppiani in uno scantinato dove si concentra sulla pittura, successivamente, dopo aver cambiato studio, si unisce anche Carlo Berté. Grazie all'interessamento di Foppiani, nel 1964 Armodio espone alla Galleria Obelisco di Roma, dove incontra il favore del pubblico ma non un effettivo guadagno economico, che arriverà invece quando Lily Shepley riuscirà a vendere le sue opere negli Stati Uniti. Nel 1969 si reca a Londra dove viene a contatto con la pittura indiana, persiana e giapponese, delle quali apprezza soprattutto i colori e l'assenza di prospettiva. Nel 1972 espone con successo le sue opere a Bruxelles. La fama di Armodio lievita e, dopo un fruttuoso soggiorno a Parigi torna in Italia. Oggi Armodio vive e lavora a Piacenza."



                  

ARTURO FERRARI (Milano, 26 genn. 1861 - 31 ott. 1932): La chiesa di Santo Stefano in Borgogna a Milano, 1896, Olio su tela, 138 x 96 cm - Fondazione Cariplo-Artgate, Gallerie di Piazza Scala, Milano

INV. N. 2080


"La chiesa di Santo Stefano in Borgogna a Milano" 
di Arturo Ferrari


Nel 1893 Arturo Ferrari partecipa all’Esposizione Straordinaria Nazionale e Internazionale di acquarelli presso la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente a Milano, dove riporta una medaglia d’argento per l’opera intitolata S. Stefano in Borgogna. Nella stessa occasione è premiato anche l’acquerello del pittore ticinese Luigi Rossi, Dolore e Curiosità, studio per il grande dipinto La Scuola del Dolore, in Collezione. Forse proprio il successo riportato alla mostra favorì, nel 1896, la traduzione ad olio del soggetto in Collezione che propone la veduta prospettica della chiesa medievale di Santo Stefano, ricostruita in forme barocche al tempo di San Carlo Borromeo. Muovendo dallo studio dal vero del luogo, fermato in un delicato acquerello attualmente al Museo di Milano, forse da identificarsi con l’opera esposta nel 1893, il pittore ricostruisce l’aspetto dell’edificio prima che fosse sconsacrato e trasformato in un deposito di legname, attorno alla metà degli anni Sessanta. Non si tratta, quindi, di una veduta contemporanea ma di una ricostruzione storica del luogo, all’epoca durante la quale era ancora frequentato dai fedeli, come si evince dalla presenza della figura femminile in nero con il breviario tra le mani che sembra essere appena uscita dal portone aperto, e dall’altra, velata in procinto di varcarne la soglia, e che collocano l’episodio ad almeno trent’anni prima dell’esecuzione dell’opera. Sembrerebbe riconducibile al 1866 anche l'inserzione nel dipinto della bandiera tricolore, esposta al balcone del palazzo in primo piano, verosimilmente sull’onda dell’entusiasmo popolare per la vittoria dell’esercito d’Italia nella Terza guerra d’Indipendenza. L’esecuzione dell’opera, datata 1896, si inserisce quindi nel clima politico dell’epoca, impegnato nella commemorazione dei trent’anni di quella data fondamentale nel compimento del processo di completamento dell’unificazione nazionale. Oltre ai richiami patriottici, l’opera risponde alle richieste del pubblico borghese di una pittura facile e piacevole. Il pittore realizza così uno scorcio caratteristico della città di Milano, destinato a scomparire in seguito alle riqualificazioni urbanistiche realizzate nel corso degli anni Trenta del Novecento, adottando un taglio fotografico ma attenendosi alla vivace tecnica descrittiva che gli aveva garantito un indiscusso successo di pubblico. Questa capacità di restituire con rigore filologico e ricchezza di particolari luoghi e fatti del passato, spesso affiancati da scene di genere interpretate con vivo realismo, costituiva il tratto distintivo della pittura di Ferrari, artefice anche di ricostruzioni di gusto neosettecentesco, come Cortile quattrocentesco a Castiglione Olona, in Collezione; oltre che delle più caratteristiche vedute della “vecchia Milano” che scompariva lasciando il posto alla metropoli moderna, come nel suo riconosciuto capolavoro, Nella vecchia via, in Collezione.





sabato 17 marzo 2018

ARTURO FERRARI (Milano, 26 genn. 1861 - 31 ott. 1932): Chiesa e case, 1925 -1932, Acquerello su carta, 29 x 41 cm - Fondazione Cariplo - Artgate, Milano

INV. N. 2079


"Chiesa e case" di Arturo Ferrari

Il dipinto è stato acquistato dal mercato antiquario nel 1968. A partire dagli anni Venti Arturo Ferrari si dedica all’esecuzione di una lunga serie di paesaggi di matrice naturalista incentrata su scorci della campagna lombarda, dell’Olona e dei sobborghi milanesi. A questo importante nucleo di dipinti appartiene anche l’opera in Collezione, forse una veduta dei navigli alla periferia di Milano, che si distingue per una stesura pittorica abbreviata e l’intensa luminosità. Nella produzione matura Ferrari abbandona il gusto aneddotico caratteristico della sua produzione più nota e popolare per condurre una serrata ricerca sulla pittura di paesaggio, condotta a diretto confronto con il vero, che lo accosta alle coeve ricerche degli esponenti dell’ultimo naturalismo lombardo. A questa svolta nel percorso creativo dell’artista corrisponde il suo allontanamento dalle principali esposizioni nazionali e dalle rassegne milanesi, mentre si allestiscono due mostre personali presso la Società del Giardino a Milano, nel 1924 e nel 1932, intervallate nel 1931 da una significativa rassegna presso la Galleria Guglielmi di Torino, presentata dal paesaggista e critico d’arte Marco Calderini. Queste opere della maturità contraddistinte dal formato ridotto, da una stesura rapida e da effetti luminosi di grande brillantezza si riallacciano alla notevole attività di Ferrari come raffinato acquarellista, tra i fondatori della Società degli acquarellisti lombardi nel 1910. Fin dai suoi esordi, infatti, l’artista impiega l’acquerello per fermare i suoi studi dal vero sul paesaggio e vedute cittadine. Si tratta di una vasta produzione, non ancora indagata dalla critica, che comprende opere compiute e rapidi studi realizzati in funzione delle rievocazioni storiche, tra le quali si ricordano in Collezione: La chiesa di Santo Stefano in Borgogna in Milano, Cortile quattrocentesco a Castiglione Olona, Nella vecchia via.




venerdì 16 marzo 2018

CARRA' Carlo (1881; Quargnento, Italy - 1966; Milano): Veduta della Rotonda del Brunelleschi, 1940, Olio su tela, 50 x 33 cm - Collezione della Fondazione Sorgente Group, Roma

INV. N. 2078


Dalla scheda tecnica del sito della Fondazione Sorgente Group: 
(http://www.fondazionesorgentegroup.com/La-Rotonda-del-Brunelleschi-a-Firenze__pittura_schede_29.html)

"Carlo Carrà fu un pittore assai ecclettico, capace di adattarsi a un periodo storico di grande fermento culturale, quello a cavallo fra il XIX e il XX secolo e di esplorarne i contenuti innovativi. Un periodo in cui la disciplina pittorica era stata letteralmente sconvolta dalla rivoluzione impressionista, dalla quale erano poi scaturite le avanguardie storiche e fra queste, il Futurismo. E fu proprio da qui che parte la carriera pittorica di Carrà, con la sua adesione al manifesto di Marinetti di cui sarà uno dei firmatari nel 1910. La fascinazione per la tecnologia, la velocità, il dinamismo furono irresistibili per il giovane pittore, ma pochi anni dopo, complice anche il suo arruolamento durante la Grande Guerra, sentì la necessità di cercare un contatto con la realtà. La sorte lo portò a Ferrara dove entrò in contatto con De Chirico e con la sua pittura metafisica, che in breve riuscì a reinterpretare in chiave personale. Ma il desiderio di essere semplicemente se stesso, completamente svincolato dalle varie correnti artistiche, lo portò a concentrare le sue attenzioni su una nuova sperimentazione: un concetto dove la pittura doveva essere il mezzo per rendere visibile quel suo bisogno interiore di immedesimazione con la natura con una tendenza all’astrazione, attraverso la semplice contemplazione silenziosa di un paesaggio. I luoghi isolati di campagna o solitarie spiagge divennero così i temi prediletti di una narrazione quasi epica. In questi ambienti ovattati, la pittura si trascende, divenendo il linguaggio muto di costruzioni isolate che il pittore trasforma in figure. Lo stesso Carrà dichiarò che attraverso la pittura egli voleva portare avanti “una trasformazione del paesaggio in un poema pieno di spazio e di sogno”. Ed è proprio questo lo spirito con il quale, nel 1940, esegue questo scorcio della chiesa fiorentina di Santa Maria degli Angeli, meglio conosciuta come la Rotonda del Brunelleschi. Nonostante si tratti di un paesaggio urbano, la chiesa è immersa in un ambiente rarefatto, dominato da un silenzio assoluto, quasi fosse dipinto di buon mattino. Un ambiente del tutto libero da segni di vita dove domina solamente la medesima quiete dei suoi ameni paesaggi rurali o delle sue silenziose marine. Per ricordarci che anche in un ambiente caotico, come può essere il centro di una città, ci si può raccogliere in una metafisica riflessione interiore, libera da ogni elemento di disturbo."