INV. N. 1720
La Galleria dell'Arte nel Mondo, Roma, Italia (Europa) - The Art Gallery in the World - Rome, Italy (Europe)
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martedì 28 febbraio 2017
domenica 26 febbraio 2017
sabato 25 febbraio 2017
GIOVANNI BOLDINI, Pittore e incisore italiano (1842, Ferrara - 1931, Parigi): Ritratto di un dandy (formalmente il Ritratto di Henri de Toulouse-Lautrec), 1880-1890, Pastello su carta, 63.5 × 41.6 cm - Pasadena, California (USA), Norton Simon Museum
INV. N. 1714
Il celebre ritratto di Henri de Toulouse-Lautrec realizzato da Giovanni Boldini a pastello su carta.
venerdì 24 febbraio 2017
giovedì 23 febbraio 2017
mercoledì 22 febbraio 2017
GIACOMO BALLA (Torino, 1871 - Roma, 1958): Marombra (*) 1919, Futurismo, Olio su tela con cornice dipinta dallo stesso artista, 108 x 72 cm -Collezione ignota
INV. N. 1707
(*) Durante l'estate a Viareggio nel 1919, Balla ha creato una ventina di tele dal titolo "Linee di forza del mare". Di questa serie è Marombra, che presenta le geometrie astratte viste nelle sue serie iridescenti delle Interpretazioni, insieme ad un elemento di rappresentazione realistica attenta al movimento e alla luce. La cornice a forma di Marombra è stata dipinta da Balla stesso.
martedì 21 febbraio 2017
lunedì 20 febbraio 2017
A DUE MANI: Orazio GENTILESCHI e Giovanni LANFRANCO (*): Santa Cecilia e un angelo, 1617-18 e 1621-27, Olio su tela, 87.5 × 108 cm - Washington, National Gallery of Art
INV. N. 1703
(*) Nota:
(*) Nota:
Indagini compiute effettuando una radiografia a raggi X, hanno rivelato che Gentileschi ha lasciato il dipinto incompiuto, avendo completato solo le teste e i busti di entrambe le figure, nonché il corpetto e la gonna di Santa Cecilia. Il dipinto fu portato a termine da Giovanni Lanfranco. Non si conoscono però i motivi che hanno indotto il Gentileschi a non completare l'opera.
ARTE in CRONACA (le notizie dal mondo dell'Arte): ARRIVATA ALLA MOSTRA SU ARTEMISIA GENTILESCHI ANCHE LA PRIMA VERSIONE DELLA "GIUDITTA CHE DECAPITA OLOFERNE"
INV. N. 1702
Dall'ANSA.IT:
Dall'ANSA.IT:
Le due Giuditta-Oloferne di Artemisia Gentileschi, insieme alla Mostra di Palazzo Braschi a Roma.
Quella di Capodimonte affianca a Palazzo Braschi il dipinto degli Uffizi.
La prima versione della 'Giuditta che decapita Oloferne', dipinta da Artemisia Gentileschi nel 1617, e ancora più cruda e vibrante della successiva realizzata per Cosimo II dei Medici nel 1620, arriva a Roma per essere allestita nella grande mostra che celebra a Palazzo Braschi la straordinaria pittrice seicentesca. Custodita al Museo di Capodimonte, l'opera è stata affiancata a quella conservata agli Uffizi, esposta al Museo di Roma già dall'apertura della rassegna 'Artemisia Gentileschi e il suo tempo' (il 30 novembre), in un confronto diretto di rara suggestione e assai di rado proposto al pubblico.
Lo splendido capolavoro è giunto nel tardo pomeriggio, protetto dalla sua specifica cassa a prova di rischio, che è stata aperta all'ingresso del palazzo, ai piedi dello scalone monumentale. Di grandi dimensioni (159 per 126 centimetri), il dipinto è stato portato a braccia dalle maestranze fino al primo piano, nella sala, forse la più bella della mostra, dove era appunto allestita la Giuditta degli Uffizi. Mentre le esperte del Museo di Roma e di Capodimonte controllavano ogni parte dell'opera (cornice, pittura, supporto) adagiata su un tavolo apposito, illuminato da luce radente, i tecnici hanno spostato gli altri due quadri della parete per dare al nuovo arrivato la posizione centrale. Un lavoro svolto con grande attenzione, durato ben due ore, che alla fine ha visto prendere vita un inedito raffronto di incredibile intensità tra due opere di Artemisia particolarmente ispirate e iconiche. Del resto la Gentileschi, in realtà pittrice grandissima, è soprattutto conosciuta e amata quale simbolo di donna capace di riscattarsi da violenze e pregiudizi, che ben si rispecchia nel soggetto di Giuditta che decapita Oloferne. Proprio nella prima versione è ancora oggi palpitante la partecipazione dell'artista a quel clima di vendetta crudele, spietata, ma giusta con cui essa ammanta la vicenda biblica, per secoli interpretata in modo assai diverso. (Fonte: ANSA.it)
domenica 19 febbraio 2017
sabato 18 febbraio 2017
venerdì 17 febbraio 2017
ARCHEOLOGIA - ARCHITETTURE: Il Tempio di Nettuno e il Tempio di Athena o di Cerere, nel Parco Archeologico di Paestum, Salerno (Italy)
INV. N. 1694
Tempio di Nettuno
È il più grande tempio di Paestum e quello meglio conservato. Realizzato verso la metà del V sec. a.C., rappresenta la declinazione classica dell’architettura templare greca. Nello stesso periodo a Olimpia, in Grecia, si costruiva il grande tempio di Zeus, che però è conservato meno bene di questo.
Il tempio è costruito con enormi massi collegati tra di loro tramite semplici tasselli e senza malta: questa tecnica costruttiva ha consentito all’edificio di resistere a terremoti e altre calamità naturali.
Se oggi mancano, come nel caso degli altri templi, i muri del corpo interno (“cella”), ciò è dovuto al riutilizzo dei blocchi da parte degli abitanti del luogo nel medioevo e in età moderna.
La cella era divisa in tre navate da due alti colonnati a due piani che si possono ancora ammirare. Come nel caso degli altri templi, il tetto era sorretto da travi in legno (di cui si vedono ancora gli incassi). Tegole e gronde erano fatte di terracotta con ricche decorazioni colorate.
(Fonte: sito Parco Archeologico di Paestum - I Templi)
(Foto: The Art Gallery in the World)
Interno del Tempio di Nettuno
Interno del Tempio di Nettuno
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Tempio di Athena (o di Cerere)
È l’unico tempio di cui sappiamo con certezza a quale divinità fosse dedicato: Atena, la dea dell’artigianato e della guerra.
Posizionato sul punto più alto della città, a nord degli spazi pubblici, il tempio della dea protettrice e guerriera dominava l’area. Già la prima generazione di coloni costruì qui un piccolo edificio per la dea (c.d. “oikos”). Intorno al 500 a.C., si realizzò poi il monumentale tempio che si è conservato fino alla cornice del tetto. La parte interna (“cella”), che è elevata rispetto al colonnato circostante, era accessibile attraverso un’ampia anticamera (“pronaos”) decorata con colonne ioniche.
(Fonte: vedi sopra)
(Foto: vedi sopra)
Vista frontale
Vista posteriore
lunedì 13 febbraio 2017
domenica 12 febbraio 2017
PIETER AERTSEN (Amsterdam, 1508 - 3 Giugno 1575): Cristo nella casa di Marta e Maria, 1553, Olio su pannello, 126 x 200 cm - Rotterdam (Olanda), Museo Boijmans Van Beuningen
INV. N. 1689
ARTE E CIBO
Pieter Aertsen
Nato e deceduto ad Amsterdam, Pieter Aertsen, ha lavorato principalmente ad Anversa ed è stato l'inventore delle monumentali scene che abbinavano lussureggianti 'Nature morte' con 'Scene di genere', e sullo sfondo 'Scene bibliche', di cui la scena di genere rappresentava spersso una specie di richiamo o una metafora.
Suo nipote, Joachim Beuckelaer, di cui ho pubblicato due lavori, Li trovate qui e qui., seguirà le sue orme specializzandosi in scene di campagna e di mercati, dove però troviamo una rappresentazione più accurata e attenta di stoviglie, frutta, verdura, animali, ecc.
sabato 11 febbraio 2017
JOACHIM BEUCKELAER (Anversa, ca. 1535 - 1574): Venditore di animali esotici, 1566, Olio su tela, 139,5 x 204,5 cm - Napoli, Galleria Farnese del Museo di Capodimonte
INV. N. 1685
ARTE E CIBO
Joachim Beuckelaer
(Fonte: Catalogo Museo di Capodimonte, testo di Francesca Amirante, Touring Club Italiano Editore, 2002 - ristampa 2014 - pag. 114)
ARTE E CIBO
Joachim Beuckelaer
Genere assai ricercato dai collezionisti del tempo, le scene popolari a figure grandi divennero, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, assai diffuse anche in Italia. Nipote di Pieter Aertsen, che anche per rispondere ad un mercato sempre più vario e diversificato aveva sperimentato una messa in scena realistica di soggetti sacri, Beuchelaer si specializza nelle scene di mercati o di campagna nelle quali comincia a farsi spazio anche una rappresentazione attenta di stoviglie, frutta, verdura, animali, oggetti che, variamente accorpati e raccolti, costituiranno il soggetto prescelto del nascente genere della Natura morta.
Opera della maturità dell'artista, il dipinto presenta un venditore di animali esotici che espone la sua mercanzia. Ai personaggi in primo piano, fa da sfondo una quinta architettonica identificata con la Borsa di Anversa. Estremamente interessante l'uso di un fondale realistico di contro all'uso del pittore e di buona parte della tradizione della pittura fiamminga di adoperare complicate architetture fantastiche. Durante il restauro (1995) è apparsa in basso, sotto il coperchio del cesto con le noci, la data 1566. Il dipinto, anche per il soggetto particolare, è facilmente riconoscibile tra quelli citati nell'inventario (1680) del palazzo del Giardino a Parma.
(Fonte: Catalogo Museo di Capodimonte, testo di Francesca Amirante, Touring Club Italiano Editore, 2002 - ristampa 2014 - pag. 114)
giovedì 9 febbraio 2017
BOLTRAFFIO, Giovanni Antonio, Pittore italiano, seguace e allievo della scuola di Leonardo. (Milano, ca. 1467 - 1516): Madonna Litta, 1490, Olio su tavola, 42 x 33 cm - Russia, San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage
INV. N. 1683
Il più celebre dei dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio, un tempo attribuito a Leonardo, ma che ora la critica più autorevole è unanimemente concorde nell'attribuire al più dotato dei seguaci e allievi di Leonardo. Ma l'influenza dell'arte sopraffina del grandissimo Maestro è impressionante!
Il più celebre dei dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio, un tempo attribuito a Leonardo, ma che ora la critica più autorevole è unanimemente concorde nell'attribuire al più dotato dei seguaci e allievi di Leonardo. Ma l'influenza dell'arte sopraffina del grandissimo Maestro è impressionante!
mercoledì 8 febbraio 2017
martedì 7 febbraio 2017
GIOVANNI BAGLIONE: Le due versioni di "Amor sacro e Amor profano"
INV. N. 1678
1° versione:
2° versione:
Giovanni Baglione
Pittore italiano di scuola romana, coetaneo del Caravaggio e suo biografo.
(Roma, ca. 1566 - 1643)
1° versione:
"Amor sacro e Amor profano"
1602, Olio su tela, 183 x 121 cm
Gemäldegalerie, Staatliche Museen, Berlino
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2° versione:
"Amor sacro e Amor profano"
1602-1603, Olio su tela, 240 x 143 cm
Palazzo Barberini, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma