Dipingere il silenzio
di
Anna Ottani Cavina
(Docente di Storia dell'Arte all'Università di Bologna, ideatrice e direttrice della Fondazione Federico Zeri, insegna alla Johns Hopkins University SAIS Europe)
Per collocare Granet nella prospettiva corretta di pittore di storia, e coglierne la seduzione narrativa conviene partire dalla fine.
Negli anni in Géricault e la sua Zattera della Medusa infiammavano i cuori al Salon, il giovane duca Filippo d'Orléans, futuro sovrano di Francia, dichiarava il suo amore per la pittura di Granet: "Amo immensamente quelle chiese, quelle cappelle, i monaci, i chiostri, i riti religiosi...". Le immagini claustrali di Granet introducevano infatti, dopo il trauma della Rivoluzione, un'armonia, una spiritualità, una bellezza vicina al misticismo neomedievale di Chateaubriand e davano forma a quel desiderio di innocenza che seguiva il tempo degli eccessi giacobini.
Dipingendo, in apertura di secolo, l'emozione delle cattedrali silenti e la riscoperta dello spirito monastico, Granet era stato all'origine di una vera rivoluzione della sensibilità.
Piu tardi il suo repertorio di chiostri, catacombe, monasteri, cripte umide e oscure, e la sua esaltazione di una fede innocente alimenteranno quel revival cattolico che, negli anni fra la Restaurazione dei Borbone e la monarchia degli Orléans, proiettava sulle sofferenze dei primi cristiani i patimenti subiti negli anni del Terrore.
( da Terre senz'ombra - Anna Ottani Cavina - Ed. Adelphi, 2015 - pagg.327-329)
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