Guglielmo CIARDI
di Maria Cionini Visani
Figlio di Giuseppe, segretario della Contabilità di Stato, e della veneziana Teresa De Bei, nacque a Venezia il 13 sett. 1842. Compiuti gli studi classici secondari nel collegio di S. Caterina, si iscrisse all'Accademia di belle arti di Venezia, dove sino al 1962 seguì un corso libero di "copia in disegno dal rilievo con tapezzeria a fiori all'acquarello colorato" e i corsi di prospettiva tenuti da F. Moja. Nel 1864, anziché iscriversi all'università di Padova per divenire - secondo i progetti paterni - notaio, esortato da un amico di famiglia, il decoratore Carlo Matscheg, entrò definitivamente all'Accademia di Venezia, dove fu uno dei primi a frequentare la Scuola di paesaggio istituita e diretta da Domenico Bresolin, sotto la cui guida il giovane C., oltre ad eseguire scrupolose copie a disegno e ad acquarello dai veneziani del Settecento, prese a dipingere i primi paesaggi all'aperto. Quando due anni più tardi lasciò l'Accademia, il C. fu in grado di dare alcuni saggi (IlGrappa d'inverno, 1866: Venezia, Galleria d'arte moderna), che anticipavano la disposizione tematica e il gusto compositivo e coloristico della sua futura e più tipica produzione.Il 20 genn. 1868 il C. lasciò Venezia per un viaggio d'istruzione, che durò un anno, nel Centro e nel Sud d'Italia. Giunse a Firenze il 22 dello stesso mese; provvisto di una lettera del concittadino Federigo Zandomeneghi a Telemaco Signorini, ebbe libero accesso nella famosa saletta del caffè Michelangelo, il cenacolo dei macchiaioli, dove si faceva un gran dissertare di un'arte affrancata dalla tirannia dell'accademia e rinnovata a contatto della natuxa: "A Firenze udendo parlare quei pittori ho imparato più che a Venezia vedendo dipingere tutti i professori dell'Accademia" - dichiarerà egli stesso più tardi a Ugo Ojetti. Il 5 febbraio lasciò Firenze per Roma, dove si legò d'amicizia con Nino Costa, e i frutti di tale vicinanza sono evidenti sia in un dipinto della Galleria d'arte moderna di Venezia, il Tevere all'Acqua Acetosa, sia in un disegno (Ariccia) firmato e datato 1868, della stessa Galleria, per il modo largo e pacato di vedere e l'interesse tutto rivolto ai contrasti di luce. A Napoli - con una lettera di P. Molmenti che lo raccomandava a D. Morelli - si confermò nella vocazione paesaggistica a contatto di F. Palizzi e ctelle scuole di Posillipo e di Resina.
Durante il soggiorno napoletano dipinse Capri e Scogliera a Capri (entrambe a Roma, Gall. naz. d'arte mod.), opere incisive ed equilibrate, giocate sulla contrapposizione dei colori e dei torti, e tutta la serie dei paesaggi di Capri, Salerno, Sorrento, custoditi nella Galleria d'arte moderna di Venezia.
Ai primi del 1869 tornò nella città natale. Nel 1874 sposò Linda Locatelli, da cui ebbe quattro figli; due - Giuseppe (Beppe) ed Emma - saranno pure pittori. Nel 1894 gli fu assegnata la cattedra della Scuola di vedute di paese e di mare, che era stata di Domenico Bresolin, e che tenne sino alla morte. In questi anni alternò gli abituali soggiorni a Venezia, a Ospedaletto di Istriana, a Quinto di Treviso e a Canove di Asiago, ai viaggi in altre località - ogni anno ritornò a Firenze, Napoli e Capri - e allestero; nel '78 si recò a Parigi, quasi ogni anno visitò l'Esposizione internazionale di Monaco di Baviera (da dove raggiungeva Berlino), nel 1910 fu a Bruges e a Londra.
Dopo il ritorno a Venezia, la pittura del C., che pure dai contatti con i migliori pittori italiani del suo tempo aveva tratto linfe vitali, mostra un progressivo distacco dai motivi dei macchiaioli toscani; alle costruzioni contrastate della "macchia" (Il somarello, 1869;Mattino di maggio, 1869; Contadino, 1872; Donne che si pettinano e Buoial carro, 1871-74: tutte nella Galleria d'arte moderna di Venezia) si alternano e seguono composizioni caratterizzate dal timbro lieto e schietto di un calore tutto veneziano. La tecnica fusa e sciolta, le gamme argentate e chiare evocano l'atmosfera vibrante ed umida della laguna: Il Canale della Giudecca (1869: Venezia, Galleria d'arte moderna) che rappresenta, per la grandiosità dell'impianto e l'ariosità degli impasti leggeri, il più alto raggiungimento di questi anni, fu esposto a Firenze nello stesso anno 1869 e lodatissimo persino dall'aspro Adriano Cecioni. Ad esso si accostano S. Giorgio (Firenze, Galleria, d'arte moderna), un'altra redazione del prediletto terna del Canale della Giudecca(Roma, Galleria naz. d'arte moderna), Dopo il temporale e Marina chioggiotta (entrambi del 1867: Torino, Galleria d'arte moderna). Dall'inizio del nono decennio alla fine del secolo la pittura del C., fattasi strutturalmente meno consistente, tende agli effetti ricercati e spesso troppo facili della pennellata franta e vaporosa; tuttavia appartengono a questo periodo alcune delle opere più valide, come tutta una serie di paesaggi lagunari e di marine (distribuite in varie collezioni private italiane e straniere e nelle Gallerie d'arte moderna di Roma e di Venezia), che culminano in Mattino alla Giudecca (1892: Trieste, Museo Revoltella), emblematico delle affinità del C. con i vedutisti settecenteschi veneziani, o i paesaggi campestri, fra i quali sta Campagna trevigiana (1883: Venezia, Galleria d'arte moderna), ove sull'amplissima prospettiva dominano tutte le gamme dei verdi e degli azzurri. Del 1883 è Messidoro (Roma, Galleria naz. d'arte mod.), considerato il suo capolavoro. Premiato con medaglia d'oro alla mostra di Berlino del 1886 ed esposto a Venezia e a Nizza nel 1887, rappresenta un angolo della campagna trevigiana costruito su larghi piani prolungati all'infinito e riscaldati da una luce dorata, reso vivace dalla puntuale ricerca del particolare.
Soprattutto dal 18.85 il C. prese a compiere lunghe escursioni in montagna, che dettero nuovi spunti alla sua pittura e ne arricchirono la tematica: ne nacquero Paesaggio di Schilpario (1894: Venezia, collez. priv.), Cimon della Pala e San Martino di Castrozza (Venezia, Galleria d'arte moderna) e infine Raggio di sole (1900: ibid.), i cui forti contrasti, nettamente definiti dalla luce in sbieco, già denunciano - nella tecnica inconsueta al C. - il decadere della sua parabola artistica.
Allo scadere del secolo vengono meno nella pittura del C. la nitidezza d'impianto e la schiettezza d'ispirazione: spinto dal desiderio di piacere a un pubblico più vasto e dall'ambizione di misurarsi con le maniere nuove degli artisti italiani e stranieri (prevaleva la "luminosità tecnica" del Segalitini), tentò opere di impianto grandioso in una forzata e artificiosa rievocazione della Venezia passata (La città del sogno, 1902, Venezia, Cassa di Risparmio; Il Bucintoro, 1902, Venezia, coll. priv.; Piazza S. Marco, 1903, Piacenza, Galleria d'arte moderna).
Più tardi, quasi consapevole di quanto tali indulgenze alle nuove mode lo conducessero su una strada che gli era estranea, tralasciati i temi d'effetto, il C. tornò alla realtà semplice della natura e ritrovò, qualche volta, l'antica felicità d'invenzione e di resa, come in Mattino a Palestrina, esposto nel 1910 alla IX Biennale di Venezia (oggi in collezione privata).
Il Ciardi morì a Venezia il 5 ott. 1917.
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