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martedì 26 gennaio 2016

ARTURO FERRARI (Milano, 26 genn. 1861 - 31 ott. 1932): Cortile quattrocentesco a Castiglione Olona, 1895, olio su tela, 145,5 x 220,5 cm - Gallery: Fondazione Cariplo - Gallerie di Piazza Scala, Milano

INV. N. 1271


Cortile quattrocentesco a Castiglioine Olona (o Cortile antico)

Il dipinto, datato 1895, ritrae un soggetto caratteristico della produzione più nota e popolare dell’artista: uno scorcio dell’antico cortile medievale del palazzo Branda Castiglioni a Castiglione Olona, antico borgo nelle immediate vicinanze di Varese edificato a partire dalla metà del Quattrocento per volontà del cardinale Branda Castiglioni, celebre umanista e mecenate delle arti figurative. Con un’altra opera ispirata a questo luogo, Castello antico (denominato anche Altri tempi), il pittore riporta uno strepitoso successo nel 1897 ottenendo il premio popolare istituito dal Comune di Milano in occasione della III Esposizione Triennale di Brera. Il dipinto, attualmente disperso, è noto grazie alla riproduzione pubblicata sul giornale “Il Secolo” ed è forse identificabile con Porta di un castello, premiata con la medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Per tutto il corso degli anni Novanta Ferrari si dedica ripetutamente allo stesso soggetto realizzandone numerose varianti, tra le quali Il Cortile del Palazzo Branda Castiglioni a Castiglione Olona (1899) che riproduce esattamente una porzione del dipinto in Collezione e Porta del Palazzo già Branda Castiglioni a Castiglione Olona, fino al 1895 di proprietà di Francesco Ponti, forse identificabile con lo studio preparatorio per l’opera premiata a Milano e a Parigi, dalla quale differisce soltanto per l’inserimento della sentinella in uniforme settecentesca accanto all’arco d’ingresso (entrambe presso la Milano, Galleria d’arte Moderna). Nella creazione di questo vastissimo repertorio, Ferrari raccoglie suggestioni dalla cultura accademica di impronta storicista e dalle opere di ispirazione neosettecentesca e di matrice naturalista di Mosè Bianchi, Pompeo Mariani, Eleuterio Pagliano, ma risolve i suoi soggetti in formule semplificate, e dunque apprezzate anche da un pubblico più vasto. L’inserimento di personaggi in abiti antichi all’interno di ambientazioni rigorosamente studiate dal vero si riscontra anche nei primi suggestivi interni monumentali, come L’Atrio della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano (Piacenza, Ricci Oddi), e nelle ampie e spaziate vedute cittadine, come Il Naviglio di Viarenna (1894) (collezione privata), divenendo un tratto distintivo della produzione artistica di Ferrari. Sfruttando soprattutto il gusto per il travestimento e il descrittivismo proprio della pittura di genere, l’artista realizza nostalgiche rievocazioni storiche di molti luoghi caratteristici, ancora ben riconoscibili ma prossimi a scomparire, garantendosi il duraturo consenso del grande pubblico.







lunedì 25 gennaio 2016

CANOVA, Antonio (1757, Possagno, Italy - 1822, Venezia): I bassorilievi della collezione Annibale Rezzonico, 1784-95, Gesso a "forma persa" - Gallery: Fondazione Cariplo, Galleria di Piazza Scala, Milano

INV. N. 1270


ANTONIO CANOVA

Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone  (1787-179o) - 112 x 213 cm


È una delle scene dedicate a raccontare episodi dell’epica classica: Canova fu particolarmente influenzato dalle traduzioni omeriche di Cesarotti. L’episodio derivato dal primo canto dell’Iliade raffigura l’addio da Achille alla schiava Briseide, allontanata dall’eroe per decisione di Agamennone. A causa di questa decisione Achille abbandonerà l’accampamento greco sotto le mura di Troia. Il bassorilievo è stato riprodotto in incisione da Tommaso Piroli incisore, Vincenzo Camuccini disegnatore, tecnica rame battuto, inciso all’acquaforte con ritocchi a bulino.


Critone chiude gli occhi a Socrate (1790-1792) - 123 x 263 cm

È una delle tre scene dedicate alla morte di Socrate, così come narrata da Platone nel Fedone: Canova trovò negli scritti di Cesarotti l’ispirazione per la realizzazione dei soggetti, che intendevano descrivere una sorta di Via Crucis laica. L’artista non indulge alla narrazione, eliminando di fatto qualsiasi elemento ornamentale, dedicandosi esclusivamente alla resa asciutta dell’accadimento.Il bassorilievo è stato riprodotto in incisione da Pietro Fontana incisore, Joseph Collignon disegnatore, tecnica rame battuto, inciso all’acquaforte con ritocchi a bulino.


Per la storia della realizzazione dei bassorilievi Rezzonico e per la fonte delle note si veda al link: La storia dei Bassorilievi Rezzonico









domenica 24 gennaio 2016

CANOVA, Antonio (1757, Possagno, Italy - 1822, Venezia): Danza dei figli di Alcinoo, 1793-95, Basssorilievo in gesso, 141 x 281 cm - Gallery: Fondazione Cariplo, Gallerie di Piazza Scala, Milano

INV. N. 1269


ANTONIO CANOVA

I bassorilevi Rezzonico

È una delle scene dedicate a raccontare episodi dell’epica classica: Canova fu particolarmente influenzato dalle traduzioni omeriche di Cesarotti. L’artista rinuncia di fatto alla narrazione, eliminando di fatto qualsiasi elemento ornamentale, dedicandosi esclusivamente alla resa asciutta dell’accadimento. In questo modo egli intende riprodurre lo spirito classico da cui Canova fa derivare la sua arte. L’episodio derivato dall’ottavo canto dell’Odissea offre allo scultore la possibilità di esprimersi in un soggetto tipicamente neoclassico, la danza, derivato da esempi pompeiani.

Il bassorilievo fa parte di un gruppo di tredici gessi - rappresentanti figure allegoriche, scene ispirate all'Iliade, all'Odissea e al Fedone e a due opere di misericordia - conservato presso il Centro Congressi della Fondazione; i bassorilievi furono realizzati da Canova e donati negli anni tra il 1793 e il 1795 al senatore di Roma Abbondio Rezzonico, che era stato committente di Canova per il monumento commemorativo di papa Clemente XIII, suo zio, collocato all’interno della basilica vaticana e inaugurato proprio nel 1792, a ormai ventitre anni dalla morte del Pontefice. Qualche tempo prima, nel 1781, lo scultore veneto scolpì per Abbondio Rezzonico l’Apollo che si incorona attualmente conservato al Getty Museum di Los Angeles. Evidentemente i rapporti tra il patrizio e Canova dovevano essere molto stretti, anche in considerazione delle comuni origini venete: frequentatore dell’ambiente artistico romano, Rezzonico si segnala come committente sia di Piranesi che di Pompeo Batoni, che lo immortala nel ritratto conservato al Museo di Bassano del Grappa. Proprio nella grande villa della cittadina veneta furono collocati i bassorilievi, ad arredare una “sala canoviana”, testimoniata dalle fonti ottocentesche, simile a quelle presenti in altre dimore patrizie sia in Veneto (Zulian, Renier, Falier, Albrizi, Barisan, Cappello) che a Roma (Villa Lante e Villa Torlonia). Si evince che nel corso della sua attività, Canova produsse a più riprese serie di bassorilievi, a volte diversi per soggetto, in base alla richiesta di collezionisti aggiornati rispetto agli orientamenti artistici dell’epoca. La serie più completa dei gessi, mai tradotti in marmo, è conservata nella gipsoteca di Possagno, un’altra molto vicina alla nostra si trova al Museo Correr di Venezia. La tecnica di realizzazione utilizzata è quella della “forma persa”, grazie alla quale da un calco, derivato dai vari prototipi, è possibile ricavare un unico esemplare: ciò permette all’artista di poter intervenire sul gesso, conferendo ad esso un connotato di unicità; sappiamo che Canova era solito rimarcare questo valore di originalità, anche per giustificare i costi di realizzazione: in realtà egli utilizzava dei validi assistenti, come Vincenzo Malpieri, ai quali di veniva delegata l’operazione. Sempre la volontà di promuovere la propria attività spinse Canova, su sollecitazione di intellettuali dell’epoca come Pietro Giordani e Francesco Leopoldo Cicognara, a far riprodurre in incisione le sue opere al fine divulgare la conoscenza della sua produzione con un mezzo economico e di facile divulgazione. La raccolta di stampe edita nel 1817 dal libraio romano Pier Luigi Scheri, dedicata “Agli Amatori e cultori delle Belle Arti” ne costituisce uno fra gli esempi più significativi. All’impresa lo scultore chiamerà alcuni importanti artisti allora attivi a Roma: come Vincenzo Camuccini, Raffaello Morghen, Jean-Baptiste Wicar, Tommaso Minardi, Francesco Hayez. Tra le opere incise rientra gran parte dei gessi, con l’eccezione delle tre Allegorie legate al progetto per la tomba di Clemente XIII. Alcuni scritti dell’antiquario romano Giovanni Gherardo de’ Rossi documentano la vicenda dei gessi Rezzonico: nel 1793 furono consegnate la Speranza e la Carità, calchi delle figure scolpite sul sarcofago di Clemente XIII. Allo stesso anno vanno datate Briseide consegnata agli araldi, la Morte di Priamo,Socrate che beve la cicuta; nel 1794 Socrate congeda la famiglia, la Danza di figli di Alcinoo, il Ritorno di Telemaco e la Giustizia, di fatto il pezzo più interessante del gruppo: costituisce infatti lo studio originale dell’artista, assente quindi nelle altre serie, per una figura che non compare nella realizzazione finale del monumento funebre, condotto a termine tra il 1784 e il 1792. Infine nel 1795 giunsero a Bassano Critone che chiude gli occhi a Socrate ed Ecuba che offre il peplo a Pallade. Al medesimo anno dovrebbero essere datati Dar da mangiare agli affamati e Insegnare agli ignoranti, forse nati per volontà del Rezzonico che li pose in una scuola per l’educazione dei bambini, sorta nell’ambito della villa. Con ogni probabilità, fatta eccezione per le due opere di misericordia, l’ideazione dei prototipi risale però a qualche anno prima, come risulta nella Biografia conservata a Bassano: essi furono realizzati congiuntamente al monumento funebre di Clemente XIII, in un lasso di tempo che partendo dal 1783 arriva al 1792. La tecnica del bassorilievo in gesso permette a Canova di sperimentare un nuovo linguaggio, pienamente neoclassico, libero perciò da elementi ornamentali e da rigorose regole prospettiche. In queste opere è possibile riconoscere il tentativo da parte dell’artista di adeguarsi ai moderni canoni letterari, con uno stile asciutto e drammatico fino all’espressionismo. I bassorilievi restarono a Bassano fino al 1837, quando furono venduti al collezionista Antonio Piazza, che li collocò a Padova nel palazzo che fu successivamente acquistato dai conti di San Bonifacio. Di lì passarono nel 1984 in eredità in una residenza nella pianura veronese per essere acquistati dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nel 1991.

(Fonte: Collezione Artgate Fondazione Cariplo)




CARAVAGGIO, Michelangelo Merisi (1571, Caravaggio, Italy - 1610, Porto Ercole, Italy): Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi, 1609, Olio su tela, 268 x 197 cm - Gallery: L'opera era custodita fino al 1969 nell'Oratorio di San Lorenzo, Palermo, da dove però è stata trafugata. (*)

INV. N. 1268

(*) Il Caravaggio rubato e mai recuperato

Nella notte tra il 17 e 18 di ottobre del 1969 svaniva per sempre, rubata con inaudita semplicità, la "Natività" di Caravaggio, opera magnifica e tra le più importanti dell'ultimo periodo del Maestro, e l'unica dipinta durante l'incerto soggiorno del pittore a Palermo. Il quadro di grandi dimensioni copriva una parete del mistico e festoso Oratorio di San Lorenzo ed era incastonato nei "teatrini", che ornavano tutto il complesso, dell'altro sommo Giacomo Serpotta. Opera d'arte immensa, dunque, non solo il dipinto, ma nel complesso il luogo in cui si inseriva. Il danno del furto fu inestimabile. E riassunse agli occhi dell'opinione pubblica più civile un'immagine di violenza, di incuria ambientale, di negligenza delle autorità. Un'immagine simbolo dell'inerte decadenza in cui era stata irretita una città una volta orgogliosa. Una sorta di stupro alla città di Palermo: non si è mai conosciuto l'esecutore e il mandante, mai si è chiarita la fine del quadro; tanto meno s'è individuato il movente dell'atto: se causato semplicemente da sete di guadagno o di possesso, oppure parte di una strategia più difficile da decifrare, di destabilizzazione se non di umiliazione inferta allo stato o volta a suggellare iconograficamente un dominio indicibile.












venerdì 22 gennaio 2016

PARIS BORDONE, Italian painter, Venetian school (b. 1500, Treviso, d. 1571, Venezia): Pescatore consegna al Doge l'anello di matrimonio, 1534/35, Olio su tela, 370 x 301 cm - Gallery: Gallerie dell'Accademia, Venezia

INV. N. 1264


Paris Bordone

Pittore italiano nato a Treviso nel 1500, ma stabilitosi dal 1518 a Venezia. Vasari ci dice che era un allievo di Tiziano, ma con il quale non si trovò mai in sintonia. Tuttavia il lavoro di Bordone fu certo fortemente influenzato da Tiziano e anche da Giorgione, 'per lo stile del maestro che gli piaceva eccessivamente', come riferisce sempre il Vasari.

Dipinse come Giorgione scene pastorali e mitologiche, che appaiono piuttosto statiche e convenzionali rispetto alla loro ispirazione, ma che gli valsero una grande popolarità. Ebbe commissioni da patroni di tutta Europa. E' stato in Francia e Germania. La sua opera più impressionante e generalmente considerato il suo capolavoro è Pescatore consegna al Doge l'anello di matrimonio (Gallerie dell'Accademia, Venezia, c.1535), una grande composizione cerimoniale nel più grande stile di Tiziano.












martedì 19 gennaio 2016

ARTURO FERRARI (Milano, 26 genn. 1861 - 31 ott. 1932): Nella vecchia via (Il vicolo di San Bernardino alle ossa a Milano), 1912, olio su tela, 102x149 cm - Gallery: Gallerie di Piazza Scala, Milano

INV. N. 1262


Arturo FERRARI - Nacque a Milano il 26 genn. 1861 da Cesare e da Filomena Maestri. Fu avviato alla pittura dal padre, che aveva preso parte, in qualità di decoratore, all'impresa ornamentale della galleria Vittorio Emanuele di Milano, collaborando con il pittore Mosè Bianchi da Lodi (omonimo del più noto monzese), nello studio del quale il giovane F. mosse i primi passi.

Dal 1877 al 1884 frequentò i corsi di pittura all'Accademia di Brera, allievo di G. Bertini, e si segnalò anche alla scuola di prospettiva: nel 1878-79 e nel 1880 si aggiudicò il premio per la copia dal monumento e nel 1884, con il dipinto Interno della chiesa di S. Antonio a Milano, vinse il premio Fumagalli.

Nel frattempo aveva accolto l'invito a frequentare lo studio di G. Induno, da cui derivò il sapore bozzettistico di certe scene e quel carattere sentimentale e "passatista" - secondo una definizione dello stesso F. (cfr. A. F. pittore, 1980, p. 115) - della sua pittura, che restò indifferente, anche negli anni della maturità dell'artista, alle istanze della scapigliatura e del divisionismo per rimanere fedele alla tradizione romantica del primo Ottocento lombardo.

Sin dagli esordi il F. trattò quasi esclusivamente il tema della veduta architettonica di monumenti e di caratteristici angoli cittadini, sulla scia della tradizione iconografica iniziata a Milano da G. Migliara e A. Inganni e proseguita da L. Bisi, che, professore di prospettiva a Brera, tra il 1870 e il 1880 favori la diffusione del genere tra i suoi allievi. Nei primi anni Ottanta il F. realizzò diversi interni del duomo e delle principali chiese milanesi: vedute nitide, dettagliate e lucidamente oggettive, più volte ripetute con minime variazioni nel taglio dell'inquadratura e nella cromia delle luci.

Nel 1879 partecipò per la prima volta all'annuale mostra di Brera (che frequento poi con discreta regolarità sino al 1923)., presentando Cortile medievale e Interno della chiesa di S. Antonio, soggetto, quest'ultimo, del dipinto coi quale prese parte nel 1882 all'Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino (dove sarà ospite più volte, sino al 1907) e che venne acquistato per il Museo civico. Nel 1880 espose a Brera il dipinto Sagrestia della chiesa di S. Fedele a Milano (forse lo stesso conservato dal 1916 alla Galleria d'arte moderna di Milano; cfr. Caramel-Pirovano, 1975) e l'anno dopo uno di identico titolo all'Esposizione nazionale che si tenne nella stessa città (cfr. catal., p. 95, ma col nome errato di Ferrari Antonio). Degli stessi anni e anche il suo primo Interno della basilica di S. Ambrogio (Piacenza, Galleria Ricci Oddi).

Assai apprezzato e ricercato dalla conimittenza locale, che in lui riconosceva il cantore nostalgico e appassionato della vecchia Milano già in via di rapida trasformazione, il F. ebbe un'attività densa di soddisfazioni e di riconoscimenti. Nel 1891 re Umberto I acquistò il dipinto Ilcastello della Bicocca presso Pavia, esposto alla prima Triennale milanese e tre anni dopo, in occasione della medesima rassegna, il quadro Quiete mistica (Roma, rispettivamente palazzo del Quirinale e Galleria nazionale d'arte moderna). Nel 1895 il F. venne nominato cavaliere dell'Ordine, dei Ss. Maurizio e Lazzaro e due anni dopo una giuria popolare gli assegnò un premio, indetto dal Comune di Milano, per il dipinto Altri tempi, esposto alla terza Triennale (ubicazione ignota, cfr. IlSecolo, 12-13 giugno 1897). All'Esposizione internazionale che si tenne a Parigi nel 1900 si aggiudicò inoltre una medaglia d'argento con l'operaPorta di un castello.

Negli ultimi anni dell'800 il F. dipinse vedute del palazzo Branda Castiglioni di Castiglione Olona, ritraendo portali, cortili e sale interne, spesso animate da macchiette in costume (Portale, Interno: Milano. Galleria d'arte moderna). Alle tante vedute ambrosiane di questi anni se ne affiancarono alcune veneziane e qualche ritratto (Angolo del palazzo ducale; Ritratto di Francesco Beretta: Milano, rispettivamente Galleria d'arte moderna e Quadreria dell'ospedale Maggiore).

Esperto anche nella tecnica dell'acquarello, il F. nel 1887 partecipò a Dresda alla esposizione degli acquarellisti e nel 1893, con l'opera S. Stefano in Borgogna, ottenne la medaglia d'argento all'Esposizione internazionale di acquarelli presso la Permanente di Milano (catal., p. 53). Nel 1906, all'Esposizione di Milano per l'inaugurazione del valico del Sempione, si distinse con un acquarello rievocativo della guerra di Fiandra; nel 1910 fondò, con L. Bazzaro, P. Sala e altri, l'Associazione degli acquarellisti lombardi, di cui fu consegretario insieme con R. Weiss: due anni dopo con questo gruppo partecipò alla X Biennale di Venezia, dove esposeL'aperta vita operosa (catal., p. 94).

All'Esposizione di Brera del 1912 si aggiudicò il premio Principe Umberto col dipinto, oggi nella collezione della Cassa di risparmio delle provincie lombarde, dal titolo Nella vecchia via (vicolo di S. Bernardino alle Ossa). A partire dal secondo decennio intensificò la produzione di vedute della campagna lombarda: paesaggi della Brianza, del lago di Como, delle rive dell'Olona, trattati con una maniera pittorica più sciolta e sfumata, ricca di vibrazioni cromatiche (cfr. i dipinti, in collezioni private milanesi, in A. F. pittore, 1980, figg. 73-76).

Ferrari morì a Milano il 31 ott. 1932 e fu sepolto nel cimitero di Malnate.

[da: Susanna Zatti - Dizionario Biografico degli Italiani Treccani - Volume 46 (1996)]



GUGLIELMO CIARDI (Venezia, 13 settembre 1842 – Venezia, 5 ottobre 1917): Fondamenta delle Zitelle (data e ubicazione: ignote)

INV. N. 1260

Guglielmo CIARDI

di Maria Cionini Visani

Figlio di Giuseppe, segretario della Contabilità di Stato, e della veneziana Teresa De Bei, nacque a Venezia il 13 sett. 1842. Compiuti gli studi classici secondari nel collegio di S. Caterina, si iscrisse all'Accademia di belle arti di Venezia, dove sino al 1962 seguì un corso libero di "copia in disegno dal rilievo con tapezzeria a fiori all'acquarello colorato" e i corsi di prospettiva tenuti da F. Moja. Nel 1864, anziché iscriversi all'università di Padova per divenire - secondo i progetti paterni - notaio, esortato da un amico di famiglia, il decoratore Carlo Matscheg, entrò definitivamente all'Accademia di Venezia, dove fu uno dei primi a frequentare la Scuola di paesaggio istituita e diretta da Domenico Bresolin, sotto la cui guida il giovane C., oltre ad eseguire scrupolose copie a disegno e ad acquarello dai veneziani del Settecento, prese a dipingere i primi paesaggi all'aperto. Quando due anni più tardi lasciò l'Accademia, il C. fu in grado di dare alcuni saggi (IlGrappa d'inverno, 1866: Venezia, Galleria d'arte moderna), che anticipavano la disposizione tematica e il gusto compositivo e coloristico della sua futura e più tipica produzione.

Il 20 genn. 1868 il C. lasciò Venezia per un viaggio d'istruzione, che durò un anno, nel Centro e nel Sud d'Italia. Giunse a Firenze il 22 dello stesso mese; provvisto di una lettera del concittadino Federigo Zandomeneghi a Telemaco Signorini, ebbe libero accesso nella famosa saletta del caffè Michelangelo, il cenacolo dei macchiaioli, dove si faceva un gran dissertare di un'arte affrancata dalla tirannia dell'accademia e rinnovata a contatto della natuxa: "A Firenze udendo parlare quei pittori ho imparato più che a Venezia vedendo dipingere tutti i professori dell'Accademia" - dichiarerà egli stesso più tardi a Ugo Ojetti. Il 5 febbraio lasciò Firenze per Roma, dove si legò d'amicizia con Nino Costa, e i frutti di tale vicinanza sono evidenti sia in un dipinto della Galleria d'arte moderna di Venezia, il Tevere all'Acqua Acetosa, sia in un disegno (Ariccia) firmato e datato 1868, della stessa Galleria, per il modo largo e pacato di vedere e l'interesse tutto rivolto ai contrasti di luce. A Napoli - con una lettera di P. Molmenti che lo raccomandava a D. Morelli - si confermò nella vocazione paesaggistica a contatto di F. Palizzi e ctelle scuole di Posillipo e di Resina.

Durante il soggiorno napoletano dipinse Capri e Scogliera a Capri (entrambe a Roma, Gall. naz. d'arte mod.), opere incisive ed equilibrate, giocate sulla contrapposizione dei colori e dei torti, e tutta la serie dei paesaggi di Capri, Salerno, Sorrento, custoditi nella Galleria d'arte moderna di Venezia.

Ai primi del 1869 tornò nella città natale. Nel 1874 sposò Linda Locatelli, da cui ebbe quattro figli; due - Giuseppe (Beppe) ed Emma - saranno pure pittori. Nel 1894 gli fu assegnata la cattedra della Scuola di vedute di paese e di mare, che era stata di Domenico Bresolin, e che tenne sino alla morte. In questi anni alternò gli abituali soggiorni a Venezia, a Ospedaletto di Istriana, a Quinto di Treviso e a Canove di Asiago, ai viaggi in altre località - ogni anno ritornò a Firenze, Napoli e Capri - e allestero; nel '78 si recò a Parigi, quasi ogni anno visitò l'Esposizione internazionale di Monaco di Baviera (da dove raggiungeva Berlino), nel 1910 fu a Bruges e a Londra.

Dopo il ritorno a Venezia, la pittura del C., che pure dai contatti con i migliori pittori italiani del suo tempo aveva tratto linfe vitali, mostra un progressivo distacco dai motivi dei macchiaioli toscani; alle costruzioni contrastate della "macchia" (Il somarello, 1869;Mattino di maggio, 1869; Contadino, 1872; Donne che si pettinano e Buoial carro, 1871-74: tutte nella Galleria d'arte moderna di Venezia) si alternano e seguono composizioni caratterizzate dal timbro lieto e schietto di un calore tutto veneziano. La tecnica fusa e sciolta, le gamme argentate e chiare evocano l'atmosfera vibrante ed umida della laguna: Il Canale della Giudecca (1869: Venezia, Galleria d'arte moderna) che rappresenta, per la grandiosità dell'impianto e l'ariosità degli impasti leggeri, il più alto raggiungimento di questi anni, fu esposto a Firenze nello stesso anno 1869 e lodatissimo persino dall'aspro Adriano Cecioni. Ad esso si accostano S. Giorgio (Firenze, Galleria, d'arte moderna), un'altra redazione del prediletto terna del Canale della Giudecca(Roma, Galleria naz. d'arte moderna), Dopo il temporale e Marina chioggiotta (entrambi del 1867: Torino, Galleria d'arte moderna). Dall'inizio del nono decennio alla fine del secolo la pittura del C., fattasi strutturalmente meno consistente, tende agli effetti ricercati e spesso troppo facili della pennellata franta e vaporosa; tuttavia appartengono a questo periodo alcune delle opere più valide, come tutta una serie di paesaggi lagunari e di marine (distribuite in varie collezioni private italiane e straniere e nelle Gallerie d'arte moderna di Roma e di Venezia), che culminano in Mattino alla Giudecca (1892: Trieste, Museo Revoltella), emblematico delle affinità del C. con i vedutisti settecenteschi veneziani, o i paesaggi campestri, fra i quali sta Campagna trevigiana (1883: Venezia, Galleria d'arte moderna), ove sull'amplissima prospettiva dominano tutte le gamme dei verdi e degli azzurri. Del 1883 è Messidoro (Roma, Galleria naz. d'arte mod.), considerato il suo capolavoro. Premiato con medaglia d'oro alla mostra di Berlino del 1886 ed esposto a Venezia e a Nizza nel 1887, rappresenta un angolo della campagna trevigiana costruito su larghi piani prolungati all'infinito e riscaldati da una luce dorata, reso vivace dalla puntuale ricerca del particolare.

Soprattutto dal 18.85 il C. prese a compiere lunghe escursioni in montagna, che dettero nuovi spunti alla sua pittura e ne arricchirono la tematica: ne nacquero Paesaggio di Schilpario (1894: Venezia, collez. priv.), Cimon della Pala e San Martino di Castrozza (Venezia, Galleria d'arte moderna) e infine Raggio di sole (1900: ibid.), i cui forti contrasti, nettamente definiti dalla luce in sbieco, già denunciano - nella tecnica inconsueta al C. - il decadere della sua parabola artistica.

Allo scadere del secolo vengono meno nella pittura del C. la nitidezza d'impianto e la schiettezza d'ispirazione: spinto dal desiderio di piacere a un pubblico più vasto e dall'ambizione di misurarsi con le maniere nuove degli artisti italiani e stranieri (prevaleva la "luminosità tecnica" del Segalitini), tentò opere di impianto grandioso in una forzata e artificiosa rievocazione della Venezia passata (La città del sogno, 1902, Venezia, Cassa di Risparmio; Il Bucintoro, 1902, Venezia, coll. priv.; Piazza S. Marco, 1903, Piacenza, Galleria d'arte moderna).

Più tardi, quasi consapevole di quanto tali indulgenze alle nuove mode lo conducessero su una strada che gli era estranea, tralasciati i temi d'effetto, il C. tornò alla realtà semplice della natura e ritrovò, qualche volta, l'antica felicità d'invenzione e di resa, come in Mattino a Palestrina, esposto nel 1910 alla IX Biennale di Venezia (oggi in collezione privata).

Il Ciardi morì a Venezia il 5 ott. 1917.

(Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani Treccani - Volume 25 - 1981)


GIACINTO GIGANTE Italian painter and printmaker (b. 1806, Napoli, d. 1876, Napoli): La Cattedrale di Amalfi, 1858, Acquerello, 34,5 x 48,3 cm - Gallery: Napoli, collezione privata

INV. N. 1254


Giacinto GIGANTE

di Carolina Brook

Primogenito di Gaetano e di Anna Maria Fatati, nacque a Napoli l'11 luglio del 1806, in una casa della rampa di S. Antonio a Posillipo.

Suo padre Gaetano, figlio di Francesco, un pescatore della zona di Mergellina, era nato a Napoli verosimilmente nel 1770 e aveva studiato alla Reale Accademia del disegno sotto la guida di G. Diano, allievo di F. De Mura, sensibile al classicismo romano di P. Batoni. Gaetano si affermò grazie soprattutto alla pittura ad affresco. La sua prima opera nota appartiene in realtà alla maturità dell'artista che, intorno ai quarant'anni, per la reggia di Caserta dipinse il Banchetto offerto ai legionari da Gioacchino Muratin villa(firmato e datato 1811; il bozzetto è conservato presso il Museo nazionale di S. Martino a Napoli), in cui l'allineamento delle figure e le lunghe prospettive, che conducono a un lontano punto di fuga, enfatizzano l'impostazione teatrale della scena secondo i canoni del vedutismo settecentesco. Fra il 1818 e il 1822 egli affrescò la volta di S. Maria di Piedigrotta con Storie di Maria e Gesù, in cui fornì uno degli ultimi saggi tardobarocchi di pittura religiosa (Napier). Nello stesso periodo dipinse la pala d'altare con La nascita della Vergine per S. Maria di Caravaggio e un'Assunta per l'altare di S. Maria della Vigna, a Pietravairano, opera rintracciata da Ortolani (1970) che l'ha definita di fattura mediocre. Nel 1825 dipinse la Festa popolare della Madonna dell'Arcoa S. Anastasia presso Napoli (Museo di S. Martino) che s'ispira alle illustrazioni francesi dell'epoca napoleonica di L. Robert (Ortolani, 1970), alle quali il pittore unì l'ultima vena pittoresca del tardo Seicento, espressa a Napoli da P. Fabris.

Gaetano partecipò alle Mostre di belle arti del Museo Borbonico, nel 1830 con Il ritorno dalla festa della Madonna dell'Arco (Museo di S. Martino), e nel 1833, quando si aggiudicò la medaglia d'argento di seconda classe avendo esposto due Bambocciate, Il ritorno dalla festa di S. Paolino a Nola e Il ritorno dalla festa di S. Gennaro a Pozzuoli (All'ombra del Vesuvio…, 1990, p. 389). Gaetano si concentrò nella produzione di scene di genere e di costume, di medio e piccolo formato, destinate alla commercializzazione: due sue Danze si conservano al Museo di Ajaccio; mentre una terza è al Museo di S. Martino di Napoli, in cui si trova anche il dipinto Largo dello Spirito Santo a via Toledo (1837), nel quale la rappresentazione dell'incrocio delle vie non mira alla documentazione topografica, ma ha uno svolgimento narrativo, quasi fosse lo sfondo teatrale di una immagine pittoresca.

Intorno al 1801 egli aveva sposato Anna Maria Fatati, di Antonio e Fortunata Di Paolo, dalla quale ebbe otto figli, quattro dei quali morirono prematuramente; mentre gli altri - il G., Ercole, Achille ed Emilia (n. 1809) - divennero come lui pittori. Gaetano morì a Mergellina, dove aveva sempre vissuto, il 23 sett. 1840 all'età di settant'anni (Ortolani, 1970).

Intorno al 1818 il G. ricevette i primi rudimenti di pittura dal padre, eseguendo alcuni paesaggi e diversi ritratti, fra i quali l'olio in collezione Talamo a Cava dei Tirreni, Vecchio pescatore seduto, in cui, oltre alla firma, si legge: "questo marinaio fu la prima figura che io feci dal vivo nel 1818". Nel 1820, insieme con Achille Vianelli, con il quale svolse tutto il percorso formativo, frequentò per qualche mese lo studio del paesaggista tedesco J.W. Hüber, dal quale apprese l'uso dell'acquerello, dell'acquatinta e della "camera ottica" o "camera lucida" (il perimetro del paesaggio veniva tracciato su un lucido, quindi ricalcato sul foglio da disegno). Questa tecnica del "disegno a contorno", detta anche "a fil di ferro" secondo la fortunata formula di Raffaello Causa, si dimostrò particolarmente adatta alla riproduzione in incisione di più esemplari, ciascuno rifinito all'acquerello, destinati a un mercato in rapida espansione. L'alunnato presso Huber e la frequentazione di Vianelli sono documentati da una nota autografa (posta al margine di un Paesaggio a matita datato 1820, conservato a Napoli nel Museo di S. Martino, collezione Ferrara-Dentice), dalla quale si ricava che in quello stesso anno, grazie al padre e insieme con l'amico pittore, il G. venne impiegato come disegnatore di mappe nel Reale Officio topografico, diretto da F. Visconti. Qui il G. ebbe modo di approfondire, oltre all'acquaforte, la nuova tecnica della litografia che, in maniera sperimentale, era stata introdotta nelle attività dell'Officio dal 1818 (Alisio - Valerio) e che egli utilizzò sistematicamente a partire dal 1829 per la realizzazione di numerose copie delle sue vedute (Fusco). Va ricollegata alle ricognizioni svolte per l'Officio topografico la serie di disegni, dal segno netto e preciso, realizzati tra 1822 e 1823 a Ischia e Capri, e oggi divisi tra la collezione dell'Accademia di belle arti napoletana, il Museo di Capodimonte e quello di S. Martino.

Con ogni probabilità il G. venne coinvolto nella seconda metà degli anni Dieci nella realizzazione della Carta topografica e idrografica di Napoli e dintorni; questo lavoro fu determinante per il suo sviluppo artistico in quanto ebbe modo di integrare l'esperienza tecnica appresa presso Hüber con il compito di documentazione geografica dei luoghi da tradurre in mappe e atlanti (ibid.). Da questo momento il G. cominciò ad applicare questa tecnica alle vedute di monumenti e di scorci urbani, avviando un'attività, particolarmente fortunata e remunerativa, di vendita di incisioni acquerellate, singole, o riunite in album, a un pubblico sempre più vasto di turisti alla ricerca di immagini souvenir di luoghi mitici. Causa (1984) ha posto in evidenza come queste "piccole impressioni d'après nature formato tascabile" fossero indirizzate a una nuova classe di collezionisti, che in esse trovava "una semplificazione, in chiave borghese, delle grandi vedute care ai viaggiatori del grand tour".

Nel 1821, partito Hüber da Napoli, il G. entrò nello studio di A.S. Pitloo a Vico del Vasto a Chiaia. Presso il pittore olandese, giunto in città nel 1816, il G. dipinse nel 1824 il suo primo dipinto a olio, il Lago Lucrino (Napoli, Museo di S. Martino), caratterizzato da "un tocco grasso e denso, ora slargato, ora minuto e fitto" che, secondo Ortolani (1932, p. 84), richiama "il gusto pittorico per "l'impressione" del vero" di tipo nordico, piuttosto che la tradizione del paesaggio napoletano del Seicento (Cecchi) o del vedutismo settecentesco (Biancale, 1932). Sempre nel 1824 a Pitloo venne affidata la cattedra di paesaggio presso l'Accademia di belle arti di Napoli; ed è probabile che il G., pur non risultandovi iscritto, seguisse l'andamento del corso visto che proprio quell'anno vinse il premio di seconda classe del paesaggio.

Se da Hüber il G. aveva ricevuto una lezione essenzialmente tecnica, con Pitloo pervenne a una nuova visione della pittura (Causa, 1956), che teneva conto dei numerosi apporti stranieri, tra cui W. Turner, J.C. Dahl e J. Rebell, confluiti nella cosmopolita città partenopea. Attraverso la pennellata libera del maestro olandese, il G. giunse a una pittura dal registro più alto, che superava il dato illustrativo (Id., 1984). Tuttavia, la sua interpretazione del paesaggio assunse una connotazione originale e inconfondibile grazie all'innesto della nuova sensibilità romantica nella tradizione napoletana del paesaggismo secentesco.

Nel 1826, tra aprile e maggio, il G. si recò a Roma, dove soggiornò presso l'acquerellista tedesco J.J. Wolfenberger. E, al ritorno, partecipò alla prima Mostra delle opere di belle arti allestita nel Real Museo Borbonico, esponendovi due vedute romane e due paesaggi campani. Come testimonia una preziosa memoria autobiografica pubblicata nel 1922 dalla nipote M. Zezon (Ortolani, 1970), nel 1827 il G., per evitare il servizio di leva e non avendo la possibilità di pagare un sostituto, decise di partecipare al concorso accademico, che vinse con il dipinto Casa rurale con cespugli e boscaglie, in seguito donato al pittore olandese P. van Hanselaere, il quale in cambio eseguì il ritratto del padre Gaetano (entrambe le opere sono di ubicazione ignota).

A differenza degli allievi dell'Accademia, il G. svolse i suoi studi dal vero. Il contatto diretto con la natura conferì alle sue opere una realtà della luce e un senso cromatico originali. In questa pratica il G. non era solo: intorno al tema del paesaggio si era infatti andato riunendo un gruppo di pittori, aggregati nella cosiddetta Scuola di Posillipo - denominazione che aveva inizialmente una valenza dispregiativa poiché fu coniato dagli accademici - che ebbe in Pitloo e nel G. gli interpreti più significativi. Gli artisti della Scuola di Posillipo, partendo dall'insegnamento di Pitloo, rinnovarono in direzione romantica il genere del paesaggio, che arricchirono di suggestioni personali derivanti dall'osservazione diretta dei luoghi.

Il 1° febbr. 1831 il G. sposò Eloisa Vianelli, sorella di Achille. Dalla loro unione nacquero otto figlie che si imparentarono con le famiglie di altri pittori della Scuola di Posillipo: Silvia e Marianna sposarono Ferdinando e Giovanni Zezon, rispettivamente nipote e figlio del pittore Antonio; Sofia e Laura si unirono ai fratelli Mariano e Francesco Fergola, figli di Salvatore; Natalia sposò il pittore Pasquale De Luca; ed Elena si maritò con Augusto Witting, nipote di Teodoro.

Tra il 1829 e il 1832 il G. si concentrò sull'attività grafica, collaborando ai tre volumi del Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie, testi di R. Liberatore, pubblicati a puntate da D. Cuciniello e L. Bianchi, con disegni e vedute del Regno di Vianelli, R. Carelli, S. Fergola e A. Marinoni, litografati da R. Müller, F. Horner, F. Wenzel e altri. Per il primo volume (1830), il G. realizzò due litografie originali con il Lago Lucrino, variante del soggetto del 1824, e Gli avanzi del tempio di Venere a Baia, oltre a diverse vedute di Pompei, Posillipo, S. Chiara e altre immagini; per il secondo tomo (1831-32) fornì 23 vedute a Wenzel, a G. Forino e a G. Dura; per il terzo (1832) disegnò alcuni soggetti di Marinoni. Sempre nel 1832 venne pubblicato Esquisses pittoresques et decriptives de la ville et environs de Naples, con testo di E. Liberatore, per cui il G. realizzò 100 disegni litografati da Wenzel, molti dei quali tratti dagli scavi di Pompei. Appartengono a questo periodo numerosi acquerelli (soprattutto vedute di Capri e Pompei, quali Grotta azzurra del 1832, Capri dalla salita di Anacapri, il Portico dei teatri e La casa dei capitelli colorati del 1835, conservati nel Museo di S. Martino), nei quali l'intensificazione dei tagli prospettici accentua i contrasti di chiaroscuro.

Durante gli anni Venti il G. conobbe il pittore russo S.F. Ščedrin, giunto in Italia nel 1819 e attivo fra Roma e Napoli fino alla morte avvenuta a Sorrento nel 1830; in sua compagnia l'artista dipinse molte vedute dei dintorni della città, ricavandone una certa influenza nello sciogliere lo stile (Ricci). Attraverso Ščedrin il G. entrò inoltre in contatto con l'ambiente dell'ambasciata russa e degli aristocratici di passaggio nella città partenopea, rapporti che a partire dal 1835 andarono intensificandosi tanto che il G. divenne il loro pittore preferito, come è testimoniato da numerose opere.

(Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani Treccani - Volume 54 - 2000)