Jean–Auguste–Dominique Ingres
(Montauban, Tarn-et-Garonne, France, 1780 - Parigi, 1867)
"Ritratto della Principesssa de Broglie"
1851-1853, olio su tela, 121,3 x 90,8 cm
Metropolitan Museum of Art, New York City
Numerosi sono i ritratti che Jean–Auguste–Dominique Ingres ha realizzato delle molte personalità di spicco del suo tempo. Questo dipinto di Joséphine Eléonore Marie Pauline de Galard de Brassacede Béarn, princesse de Broglie, è stato eseguito negli anni tra il 1851 e il 1853 ed è l'ultimo ritratto di un personaggio femminile che gli venne commissionato. Membro dei circoli più colti del Secondo Impero, la principessa era rinomata per la sua grande bellezza così come per la sua riservatezza, qualità ben espresse in questo ritratto. La grande maestria di Ingres nel rappresentare la qualità dei materiali e degli oggetti la si ritrova nel ricco raso e nei pizzi dell'abito della principessa, nella tappezzeria di damasco di seta, e nella sciarpa da sera riccamente ricamata, drappeggiata sulla poltrona. Resi nei minimi dettagli anche i suoi sontuosi gioielli, tra cui l'antica tradizione del ciondolo alla moda al collo.
La principessa de Broglie morì di tisi all'età di trentacinque anni. Suo marito teneva in lutto questo ritratto dietro tendaggi in omaggio perenne alla sua memoria. Il quadro è rimasto in possesso della famiglia fino a poco prima dell'acquisizione da parte di Robert Lehman e conserva l'originale cornice in legno riccamente intagliato che Ingres aveva scelto.
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Piero della Francesca
(Borgo San Sepolcro, 1412/17 - 1492)
"Ritratto di Battista Sforza, Duchessa di Urbino"
1465-1472, olio su tavola, 47 x 33 cm
Galeeria degli Uffizi, Firenze
Battista Sforza (Pesaro, 1446 - Gubbio 1472) era figlia di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, e della prima moglie Costanza da Varano. Sposò, l’8 febbraio del 1460 a Pesaro, il fratello della sua matrigna Federico da Montefeltro, conte di Urbino. Le spiccate doti culturali e di governo della giovanissima contessa, le consentirono di assolvere alle funzioni di vicario durante le numerose e lunghe assenze del marito. Il ritratto di Battista, che ne ha fatto il grande Piero della Francesca, ha una colorazione chiara, con la pelle di un candore ceruleo come imponeva l'etichetta del tempo: una pelle chiara era infatti segno di nobiltà, in contrapposizione all'abbronzatura dei contadini che dovevano stare all'aperto. La fronte è altissima, secondo la moda del tempo che imponeva un'attaccatura molto alta (con i capelli che venivano rasati col fuoco di una candela), e l'acconciatura elaborata, intessuta di panni e gioielli. Piero, al pari dei fiamminghi, si soffermò sulla brillantezza delle perle e delle gemme, restituendo, grazie all'uso delle velature a olio, il "lustro" (riflesso) peculiare di ciascuna superficie, a seconda del materiale. (fonte Wikipedia)
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Parmigianino
Girolamo Francesco Maria Mazzola
(Parma, 1503 - Casalmaggiore, 1540)
"Ritratto di Gian Galeazzo Sanvitale"
1524, olio su tavola, 109 x 81 cm
Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli
Il Ritratto di Gian Galeazzo Sanvitale, Conte di Fontanellato, del Parmigianino, è un "ritratto da parata", destinato cioè a magnificare l'immagine del conte presso i suoi ospiti, non un'effigie privata: ciò si deduce dalla ricchezza di oggetti che ne qualificano i nobili interessi e la raffinatezza dei costumi.
Si tratta di uno dei più celebri ritratti di Parmigianino, col conte, allora ventottenne, raffigurato seduto su una sedia Savonarola, col corpo di tre quarti verso sinistra e il volto ruotato frontalmente, che direziona un intenso sguardo verso lo spettatore. Indossa un'ampia giubba nera, secondo la moda del tempo, da cui escono due maniche di pesante stoffa rossa decorate da tagli sequenziali, che scoprono la vaporosa camicia bianca, con ricami sul polsino. Il berretto è dello stesso colore scarlatto, con tagli eleganti lungo il bordo, perline dorate, una piuma e un cammeo a decorare. Si tratta di un vestito alla francese, che in quei tempi poteva intendere anche la particolare fede politica del protagonista.
La sinistra è poggiata sul bracciolo e, con un anello d'oro con pietra al mignolo, regge un guanto, vicino all'elsa della spada. L'altra è invece ancora inguantata e mostra allo spettatore una medaglia bronzea, recante due simboli. Questi ultimi sono stati letti come una "C" e una "F", allusive al titolo di "Comes Fontanellati", o come un "72" (Ricci, 1894, basandosi anche sulle descrizioni inventariali antiche).
Il volto con uno sguardo magnetico, è illuminato incisivamente da destra, evidenziando l'incarnato chiaro e liscio, la soffice barba, i lunghi favoriti e i ricci leggeri della capigliatura. La fronte è spaziosa, gli occhi chiari ed espressivi, il naso dritto. Una certa intimità tra pittore e soggetto dovette essere necessaria per poter restituire così efficacemente la giovanile bellezza, la fiera baldanza e la ricchezza di interessi del conte, guerriero e gentiluomo al contempo.
Su un tavolino dietro ad esso si trovano appoggiati i pezzi di un'armatura lucente e una mazza ferrata, simboli evocativi della sua indole guerriera. Oltre un muro, a destra, si apre poi una veduta di un albero frondoso, elemento piacevole e decorativo, con le foglie lumeggiate con sapiente maestria. Questa vegetazione è così fitta da bloccare lo spazio, assumendo una funzione di variazione di colore dell'ambiente chiuso.
Si tratta di uno dei più celebri ritratti di Parmigianino, col conte, allora ventottenne, raffigurato seduto su una sedia Savonarola, col corpo di tre quarti verso sinistra e il volto ruotato frontalmente, che direziona un intenso sguardo verso lo spettatore. Indossa un'ampia giubba nera, secondo la moda del tempo, da cui escono due maniche di pesante stoffa rossa decorate da tagli sequenziali, che scoprono la vaporosa camicia bianca, con ricami sul polsino. Il berretto è dello stesso colore scarlatto, con tagli eleganti lungo il bordo, perline dorate, una piuma e un cammeo a decorare. Si tratta di un vestito alla francese, che in quei tempi poteva intendere anche la particolare fede politica del protagonista.
La sinistra è poggiata sul bracciolo e, con un anello d'oro con pietra al mignolo, regge un guanto, vicino all'elsa della spada. L'altra è invece ancora inguantata e mostra allo spettatore una medaglia bronzea, recante due simboli. Questi ultimi sono stati letti come una "C" e una "F", allusive al titolo di "Comes Fontanellati", o come un "72" (Ricci, 1894, basandosi anche sulle descrizioni inventariali antiche).
Il volto con uno sguardo magnetico, è illuminato incisivamente da destra, evidenziando l'incarnato chiaro e liscio, la soffice barba, i lunghi favoriti e i ricci leggeri della capigliatura. La fronte è spaziosa, gli occhi chiari ed espressivi, il naso dritto. Una certa intimità tra pittore e soggetto dovette essere necessaria per poter restituire così efficacemente la giovanile bellezza, la fiera baldanza e la ricchezza di interessi del conte, guerriero e gentiluomo al contempo.
Su un tavolino dietro ad esso si trovano appoggiati i pezzi di un'armatura lucente e una mazza ferrata, simboli evocativi della sua indole guerriera. Oltre un muro, a destra, si apre poi una veduta di un albero frondoso, elemento piacevole e decorativo, con le foglie lumeggiate con sapiente maestria. Questa vegetazione è così fitta da bloccare lo spazio, assumendo una funzione di variazione di colore dell'ambiente chiuso.
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Agnolo Bronzino
(Firenze, 1503 - 1572)
"Ritratto di Eleonora di Toledo e del figlio Giovanni de' Medici"
1544-45, Olio su tavola, 115 x 96 cm
Galleria degli Uffizi, Firenze
Eleonora Álvarez de Toledo y Osorio (Alba de Tormes, 1522 - Pisa, 1562) era figlia del Viceré di Napoli, Don Pedro Alvarez de Toledo y Zuniga e di Donna Maria Osorio y Pimentel, marchesa di Villafranca del Bierzo. Fu la prima moglie di Cosino I de' Medici e seconda duchessa di Firenze, dopo Margherita d'Austria. Anche se spesso è chiamata "granduchessa Eleonora", non fu mai granduchessa di Toscana, poiché premorì alla creazione del granducato di Toscana. Famosa per la sua bellezza, è il soggetto principale di questo celeberrimo ritratto realizzato dal Bronzino, in cui è raffigurata insieme a suo figlio Giovanni. Eleonora veniva ricordata per la sua folgorante bellezza: castana e con gli occhi nocciola, aveva il viso di un ovale perfetto, i lineamenti dolci e pieni di un'innata maestà. Aveva una passione sconfinata per i gioielli, che amava indossare in copiosa quantità, ed i suoi abiti sfarzosi seguivano le mode dell'epoca, ma si distinguevano per la squisita raffinatezza. Per molto tempo si è creduto che Eleonora fosse stata sepolta con lo stesso vestito presente in questo ritratto, ma all'effettiva apertura della tomba si scoprì che indossava un abito molto più semplice. Dopo un restauro lungo e complesso, l'abito originale è stato ricomposto ed esposto nella Galleria del Costume di Firenze, senza tuttavia permetterne un'esposizione tridimensionale a causa delle fragilissime condizioni in cui versa.
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Agnolo Bronzino
(Firenze, 1503 - 1572)
"Ritratto di Laura Battiferri"
1555-1560, olio su tela, 83 x 60 cm
Palazzo Vecchio, Firenze
Laura Battiferri, poetessa, era la moglie di Bartolomeo Ammannati, celebre scultore e artista fra i più notevoli e inquieti del secolo, che aveva sposato nel 1550. Il Bronzino la ritrae di profilo, dal quale emerge impietoso l'importante naso, con un rigoroso abito scuro, la cui ampia scollatura è chiusa fino al lungo collo da una camicetta bianca plissettata. Ha il capo ricoperto da un sottilissimo velo che le ricade sulle spalle. Tra le mani ha un libro che è aperto ed è rivolto verso chi guarda, a simboleggiare l'attività di poetessa.
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Lavinia Fontana
(Bologna, 1552 - Roma, 1614)
"Ritratto di Ginevra Aldrovandi Hercolani"
1595-1600, olio su tela, 115 x 90 cm
Walters Art Museum, Baltimora, USA
Ginevra Aldrovandi Hercolani era la figlia del senatore Ercole Aldrovandi e moglie del senatore Ercole Hercolani. Era rimasta vedova nel 1593, ma ha continuato a svolgere un ruolo significativo nella società bolognese dopo la morte del marito. La Fontana la ritrae in lutto in un elaborato abito nero, con costosi inserti di broccato, pizzi e perle, a sottolineare il suo elevato status sociale. Nella mano sinistra ha un fazzoletto, come riferimento alle lacrime che versò alla morte del marito. Il cagnolino è il suo animale domestico, ma ha anche un significato simbolico, abituale nel corso del XVI secolo, di fedeltà che qui, nello specifico, è riferito ad una vedova che non si è risposata, rimanendo fedele alla memoria del marito.
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Jean Clouet
(Bruxlles, 1485/1490 - Parigi, 1541)
"Ritratto di Francesco I, re di Francia"
1525-1530, olio su tavola, 96 x 74 cm
Museo del Louvre, Parigi
Francesco I (1494-1547) divenne re di Francia nel 1515, mentre era ancora un giovane uomo, e come l'imperatore tedesco Carlo V (imperatore 1519-1556 ) ed Enrico VIII d'Inghilterra (re 1509-1547 ) era sempre desideroso di presentarsi in una cornice di grande splendore. Il ritratto che ne realizzò Clouet ebbe un ruolo importante in questo. Nell' insolitamente grande ritratto del Louvre, Clouet mostra Francesco I in un opulento abito rinascimentale, le insegne tradizionali della maestà regale sono meno del solito, ma sul prezioso damasco rosso che fa da sfondo alla figura del re si intrecciano corone.
Il dipinto è uno dei capolavori della ritrattistica rinascimentale. La figura del re è ripresa a metà e di fronte a uno sfondo di broccato scarlatto. Il berretto, tempestato di perle, è pieno di piume bianche. Il suo magnifico abito bianco e nero a strisce di raso doppietto è riccamente ricamato in oro. Una medaglia di San Michele è sospesa su una catena d'oro al collo. La sua mano destra, che stringe un guanto, poggia su un tavolo con un drappo di velluto verde, mentre la sinistra è sull'elsa della spada magnificamente lavorata. I suoi occhi azzurri socchiusi, il suo sguardo sagace, i baffi scuri e la barba danno al volto un'attrazione singolare. Il tutto è un racconto-ritratto di un sovrano dalla personalità eccezionale che fu anche un generoso mecenate dell'arte rinascimentale .
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Raffaello Sanzio
(Urbino, 1483 - Roma, 1520)
1503, olio su pannello, 63 x 45 cm
Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze
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Leonardo da Vinci
(Vinci, 1452 - Amboise, 1519)
"Ritratto di Ginevra de' Benci"
1474-1478, olio su tavola, 38,8 x 36,7 cm
National Gallery of Art, Washington
Ginevra de' Benci era la figlia di Amerigo di Giovanni Benci, ricco banchiere forse amico del padre di Leonardo. Essa andò in sposa nel 1474 a Luigi di Bernardo di Lapo Nicolini. La sua famiglia fu a lungo legata all'attività di Leonardo a Firenze: in casa Benci si tenne l'Adorazione dei Magi, incompiuta dopo la partenza del pittore per Milano; inoltre Tommaso de' Benci, poeta discepolo di Marsilio Ficino, fu amico di Leonardo.
Ginevra, che è ricordata anche da Lorenzo il Magnifico come una delle donne più colte della società fiorentina dell'epoca, è stata identificata nel ritratto grazie alla presenza, sullo sfondo, di fronde verdi di ginepro, che alludono al suo nome per paronomasia.
La donna è raffigurata a mezzo busto di tre quarti, girata verso destra. È risaputo che il dipinto venne decurtato, in epoca imprecisata, di almeno un terzo nella parte inferiore, tagliando via le mani che probabilmente erano danneggiate. Originariamente le proporzioni del ritratto non dovevano essere molto dissimili da quelle della Gioconda. Ginevra indossa una veste con scollatura chiusa da lacci e un camicia bianca e sottilissima; dal collo pende una sciarpa nera che incornicia il petto e le spalle. L'acconciatura è tipica dell'ultimo quarto del Quattrocento a Firenze, con i capelli raccolti sulla nuca lasciando liberi alcuni ricci a incorniciare la fronte. Inconsueta è la mancanza di accessori e gioielli che testimoniassero la ricchezza della famiglia: fu forse la stessa donna a richiedere di essere ritratta così, rompendo con la tradizione dei ritratti dell'alta borghesia.
In lontananza si apre un paesaggio con tutti gli elementi cari al pittore: specchi d'acqua, campanili e torri appuntite, montagne. Il tutto è trattato con toni azzurrini secondo le regole della prospettiva aerea. L'ambientazione all'aperto è molto insolita, soprattutto per un ritratto femminile.
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Hans von AACHEN
(1552, Köln - 1615, Praha)
"Ritratto dell'Imperatore Rodolfo II",
1590 c., Oil on canvas, 60 x 48 cm
1590 c., Oil on canvas, 60 x 48 cm
Kunsthistorisches Museum, Vienna
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François Boucher
(Parigi, 1703 - 1770)
"Ritratto della Marchesa di Popadour"
1756, olio su tela, 201 x 157 cm
Alte Pinakothek, Monaco, Germania
Non bellissima, ma bella, nella sua veste lussuosa piena di nastri, merletti e ricami di fiori, mollemente e maliziosamente adagiata sul letto, in una stanza ricca di tendaggi e pesanti ornamenti e con un libro in mano: questo è uno dei ritratti più belli che François Boucher fa della celebre Madame de Pompadour, al secolo Jeanne Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 - Versailles, 15 aprile 1764), mitica favorita del Re Luigi XV. Donna potentissima che seppe dare un enorme contributo allo sviluppo delle arti, del teatro, della musica e della moda. Colta e intelligente diede il suo sostegno alle idee filosofiche degli illuministi, favorendo la stampa e la diffusione dell'Encyclopédie.
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Agnolo Bronzino
(Firenze, 1503 - 1572)
"Ritratto di Lucrezia Panciatichi"
1540 c., olio su tavola, 102 x 85 cm
Galleria degli Uffizi, Firenze
Il Ritratto di Lucrezia Panciatichi è uno dei capolavori del Bronzino. Lucrezia di Gismondo Pucci sposò nel 1528 Bartolomeo Panciatichi, il cui ritratto fu probabilmente dipinto in pendant con questo, nel 1540 circa. Bronzino descrive il suo bel vestito, migliorando la sua dignità aristocratica e la sua eleganza: la lunga collana d'oro che la dama indossa include piccole piastre piatte sulle quali sono leggibili le parole "sans fin amour dure", che alludono all'amore e alla fedeltà.
Come è tipico dell'arte di Bronzino, la donna è vestita sontuosamente in un caldo raso rosa e velluto scuro. Un libro aperto tra le mani aristocratiche, affusolate e dalle dita lunghe, e il suo volto puro grave è del tutto privo di qualsiasi bellezza naturalistica. L'artista rende questa signora di una società fiorentina raffinata e colta un simbolo idealizzato di bellezza casta e di alta spiritualità. La pettinatura così composta e sobria ne sottolinea il bel viso, senza nulla concedere a frivolezze o stravaganti eccessi.
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Caravaggio
Michelangelo Merisi
(Caravaggio, 1571 - Porto Ercole, 1610)
"Ritratto di Alof de Wignacourt con il suo paggio"
1608, olio su tela, 194 x 134 cm
Museo del Louvre, Parigi
Il personaggio rappresentato in questo bel quadro di Caravaggio è Alof de Wignacourt (1547-1622) Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta e patrono di Caravaggio durante il suo soggiorno a Malta nel 1607-1608. Il Cavaliere, il cui volto è incorniciato da una bella barba grigia, è raffigurato in una bellissima armatura dai colori nero e rame, fiero nell'atteggiamento e nello sguardo, che volge altrove di lato. Gli è al fianco il paggio che reca il grande elmo dal ricco piumaggio, dal viso immancabilmente ambiguo e dai capelli cortissimi, tendenti al biondo, che invece guarda diritto l'osservatore. Un insospettato e insospettabile Caravaggio.
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Tiziano Vecellio
(Pieve di Cadore, 1480/85 - Venezia, 1576)
"Ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere"
1536-1538, olio su tela, 114 x 103 cm
Galleria degli Uffizi, Firenze
Ed eccolo, uno dei capolavori indiscussi della ritrattistica mondiale, il Ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere che Tiziano dipinse negli anni tra il 1536 e il 1538.
La nobildonna è seduta e ritratta a mezza figura di tre quarti verso sinistra e indossa un copricapo con ricami dorati che riprende una moda lanciata da Isabella d'Este Gonzaga. Il vestito è in sontuoso velluto scuro, con fiocchetti dorati e uno scollo coperto da seta bianca e orlato da intarsi dorati con pietre preziose. I colori ricordano quelli della sella dei Montefeltro, dai quali i Della Rovere avevano ereditato il ducato. Le maniche hanno sbuffi di seta, ondulati elegantemente. La cintura è un cordone dorato con nappa finale, a cui è appeso una martora con testa-gioiello, in oro con perle e rubini incastonati, sulla quale è poggiata la mano destra della dama. La donna indossa anche altri gioielli, tra cui una catena al collo con pendente con perle a goccia (simbolo di purezza della sposa), orecchini pure con perla a goccia, e anelli.
Lo sfondo è una parete grigia, nella quale si apre una finestra che mostra un lontano paesaggio verdeggiante. Vicino alla duchessa, sotto la finestra, sta un tavolino coperto da un panno verde, sul quale si trovano un cagnolino pezzato che dorme, identico a quello che compare nella Venere di Urbino, simbolo di fedeltà, e un orologio dorato coronato da una statuetta. Anche l'orologio compare in altri ritratti e viene interpretato come simbolo di eternità, magari nell'accezione di fedeltà eterna nel matrimonio, oppure di temperanza (per la regolarità del ticchettio) o addirittura di memento mori per lo scorrere del tempo.
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Alessandro ALLORI
(Firenze, 1535 - 1607)
"Ritratto di nobile Dama"
Olio su tela, 106 x 76 cm
Collezione privata
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